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mercoledì 24 febbraio 2016

Quando non hai un argomento, ti serve almeno un pretesto.



SI, ma anche NO.
Ovvero del senso di una gigantesca ipocrisia che torna comoda a tutti.

L'onestà intellettuale alle volte passa attraverso il dire grazie a chi ti ha fatto un favore, anche quando fa male.

Dovreste almeno ringraziarlo, il PD, per il favore che vi ha fatto.
Ché riorganizzare un intero programma politico sulla liberalizzazione della ganja e sul sostituire un po' di "o" con delle "a" alla fine delle parole ( e se ha senso chiamarsi "avvocata" vorrei capire che vi ha fatto di male il mio amico fisioterapista che non ha diritto di farsi chiamari "fisioterapisto", nonostante sia pene-dotato ) pur di non scendere nel merito di problemini quali:
- "come cazzo risolviamo il problema della disoccupazione giovanile sulla soglia del 50%" e
- "che posizione prendiamo su un'unione bancaria" che suona tanto di "è la Germania che sta ponendo fine all'eurozona nella maniera a lei più vantaggiosa e del sistema produttivo italiano rimarranno solo sul tappeto rimasugli semifalliti da acquistare a bassissimo costo",
sarebbero stati veramente cazzi da cagare.
Cazzi da cagare con annessa responsabilità del dover ammettere pubblicamente di aver delirato sulle analisi e sulle proposte, ininterrottamente, nel corso degli ultimi almeno 3 lustri.
Invece così potrete ancora sperare di ritirare su un altro 3,2% sventolando una bandiera arcobaleno.

Vi hanno fatto un piacere.
Lo hanno capito tutti.

Qua ci son 3 milioni di persone che se la son pigliata in saccoccia un'altra volta, e almeno una trentina di milioni di persone che avrebbero bisogno di un partito di classe centrato sulle reali contraddizioni del presente, che avrebbero avuto rispettivamente solo da guadagnarci dall'ottenere i proprio diritti, e dalla FINE DEI VOSTRI ALIBI per non occuparvi di lotta di classe, deficit democratico della UE, € come strumento di lotta di classe dall'alto etc. etc. etc.

Invece, così, SIETE ANCORA UNA VOLTA ESENTATI DAL MISURARVI CON LE CONTRADDIZIONI REALI, e i media saranno felici di darvi uno spazio per occuparvi di cosmesi mentre ci lasciano col culo in mezzo a una strada, perchè l'argomento non li disturba.

Riconoscetelo, almeno, che vi hanno fatto un favore.





Per tutto il resto, le questioni di sostanza, riporto le parole di Riccardo Achilli che trovo essere assolutamente definitive.

COSMOPOLITICA: INVOCANDO LO SPIRITO SANTO
[ 24 febbraio ]

Una prima impressione di questa tre giorni che lancia il progetto di Sinistra Italiana. Positiva l’energia che si respira, la grande determinazione a rilanciare un progetto di riscatto della sinistra. Si capisce che stavolta si vuole scommettere veramente su qualcosa di non ancora ben delineato. Positiva la presenza diffusa di militanti giovani e giovanissimi. E’ positivo che, nelle parole di Mussi, che parla di tempesta economica perfetta, in quella di tanti costituzionalisti, che evidenziano la possibile fine della democrazia parlamentare, nelle parole preoccupate di Prospero, vi sia la netta consapevolezza della gravità estrema della situazione.
E proprio questa consapevolezza diffusa di quanto grave sia lo stato del Paese e del mondo rende poco comprensibile una certa leggerezza dei temi programmatici trattati da quella che sarà la dirigenza di quel nuovo soggetto politico. Nemmeno una parola sull’euro, da parte di nessuno, ma in compenso una cacofonia sulla necessità “storica” di proseguire nel processo di unificazione europea, gli Stati Uniti d’Europa, l’omaggio oramai stereotipato a Ventotene, il progetto, che si ripete nelle bocche di ogni oratore, di fare una fantomatica alleanza politica transnazionale con Podemos, Syriza, socialisti portoghesi, per cambiare i Trattati. Qualcuno degli oratori arriva persino ad ipotizzare un unico partito di sinistra europeo, non si capisce come, non si capisce in quale forma, se al di fuori dalle famiglie politiche europee esistenti (una Internazionale del keynesismo?) oppure dal di dentro (e allora sarebbe bene studiare e capire che esistono già, in una assise che si chiama Parlamento Europeo, il problema è che quella assise non ha alcun reale potere).
Eppure per tanti mesi è stato largamente detto, e spiegato (e quindi non tenerne conto è imperdonabile) che un’area valutaria comune con grandi divergenze fra i parametri macroeconomici di ogni partecipante, e priva di meccanismi di perequazione interna di tali divergenze, è costretta automaticamente a seguire la direzione delle politiche economiche del Paese leader, quello con la più robusta credibilità sui mercati finanziari. Quindi tu puoi fare tutte le alleanze europee che vuoi (ammesso e non concesso che ci si riesca, fra l’altro il quadro politico spagnolo è ancora incerto, e il fragile Governo portoghese rischia di esplodere in ogni momento per le sue stesse contraddizioni, mentre Syriza è oramai impegnata ad applicare un memorandum di austerità ancor più terribile di quelli del passato, e sarebbe difficile per Tsipras tornare indietro senza dare automaticamente ragione ai suoi detrattori), puoi fare il partito transnazionale, l’Internazionale de noantri, ma alla fine sei costretto, se vuoi rimanere dentro l’euro, a seguire le politiche del leader. Il quale non cambierebbe mai la direzione delle sue politiche economiche, sulla quale la Merkel e la Cdu/Csu si giocano il loro futuro, nemmeno se a fare pressione ci fosse una coalizione politica in grado di includere anche lo Spirito Santo. 
Ed al limite, ove messa alle strette da troppe richieste di cambiamento delle regole dell’austerità, la Germania ha già dimostrato, con Schaeuble, di non aver tante remore ad immaginare una rottura traumatica dell’euro. Evidentemente fatta nei tempi e nei modi che convengono alla Germania ed all’area delle economie nordiche ad essa legate, affossando definitivamente nel default le economie mediterranee, per poi farne campo di conquista. E tutto questo non è teorico: lo si intravede nel piano tedesco che vorrebbe imporre alle banche di aumentare il patrimonio di sorveglianza per tener conto del rischio-Paese sui titoli pubblici detenuti, che produrrebbe automaticamente o il collasso creditizio finale oppure quello dei conti pubblici, o tutti e due, nei Paesi indebitati. Non si riesce nemmeno ad evocare un piano B come strumento di pressione per ottenere il piano A del cambiamento dei Trattati, un piano B che, come suggerito, tra gli altri, da Lafontaine, preveda un sistema di cambi a parità centrale e ampi margini di oscillazione, che consenta di assorbire tramite le oscillazioni del cambio, anziché del salario, le esigenze di competitività di costo, e di recuperare sovranità monetaria.
Non riuscire a dire una simile ovvietà significa non essere nemmeno in partita. Significa non saper dare alle parole tanto sbandierate in questa tre giorni, come giustizia sociale o redistribuzione, un significato superiore a quello dell’aria fritta. Confondere il ritorno a valute nazionali in un sistema europeo simil-Sme con il nazionalismo aggressiva da ustascià, come hanno fatto molti degli intervenuti, è, nel migliore dei casi, il frutto di un blocco psicologico, basato sull’incapacità di affrontare una analisi sbagliata fatta in tutti questi anni. Significa non voler accettare che la crisi democratica e sociale in atto è il portato di una globalizzazione che svuota lo Stato nazionale di ogni possibilità di difesa.
E più in generale manca completamente una visione realistica di politica internazionale. Sento qualcuno, purtroppo con incarichi istituzionali, dire che la chiave di tutto è abolire il permesso di soggiorno. Decidendo di non fare politica, perché la politica significa governare, non rinunciare a governare. Significa non capire che il fenomeno migratorio va governato, certo con metodi non brutali come quelli della destra o del Governo danese ma con il massimo di accoglienza e di integrazione, puntando ad integrare i migranti in un sistema di diritti crescenti, sia per loro che per i lavoratori italiani, evitando il rischio di guerre fra poveri. Ma il flusso va governato, perché è una esigenza che tocca il senso identitario e di sicurezza proprio degli strati popolari che una sinistra dovrebbe ambire a rappresentare. Si rinuncia a capire che è ovvio che si debba offrire il massimo della solidarietà e dell’integrazione socio-culturale e lavorativa all’immigrato che attraversa il mare per venire da noi, ma la vera chiave di volta è creare le condizioni affinché egli non sia costretto alla scelta dolorosa di emigrare. Il che significa recuperare la vecchia parola che si chiama “anti-imperialismo”, che da Lenin e dalla Luxembourg ha rappresentato il cuore dell’analisi internazionale delle sinistre.
Nell’insieme, siamo ancora alla narrazione analgesica, al minestrone di buonismo, pacifismo di maniera, ambientalismo accademico (purché compatibile con la crescita economica, mi raccomando) privo di analisi sociale e di qualsiasi reale spirito antagonistico, proposte di reddito minimo garantito alla Negri-Vercellone che non tengono conto della complessità di un welfare a misura del proletariato cognitivo, che richiede strumenti di riqualificazione professionale, oltre che monetari. Il tutto nel solito quadro contraddittorio e conflittuale rispetto alle alleanze, che fa sì che, con una mano, si critichi il Pd come partito irrimediabilmente spostato al centro, e dall’altro si dia la possibilità di parlare a Cuperlo, che propone improbabili alleanze per un improbabile centrosinistra di ritorno. Che Cuperlo sia un interlocutore essenziale per le imminenti sfide referendarie non implica che lo si faccia addirittura parlare, disorientando persone entrate in SI proprio perché non condividevano la condotta gattopardesca della SinistraDem.
Questo minestrone programmatico e questa ambiguità tattica le conosciamo, sono quelle degli ultimi anni. Vale il 3% circa dell’elettorato. Se così dovesse essere, allora il progetto si ridurrebbe ad una operazione meramente commerciale di lancio di un nuovo brand, ed una apparenza di processo unitario guidato tutto dall’alto e da tatticismi di posizione rispetto al Pd, che, esaurito l’effetto-annuncio, riporterebbe sui valori elettorali marginali di questi anni. Una operazione che farebbe comodo solo a chi è geneticamente nato per fare da stampella al Pd, o a chi ne è uscito solo nella speranza di rientrare.
Se si vuole evitare un simile percorso, allora bisogna lavorare nella chiarezza. Che è quella che chiede l’elettorato, non composto certo da politici di professione o da amanti della tattica di posizione, ma da persone che chiedono risposte chiare a dei problemi concreti, e coerenza dei comportamenti e delle scelte rispetto alle risposte stesse. Iniziare a dire che il problema è l’Europa, e che se non si riuscirà a cambiarla occorrerà fare altre scelte. Che si identifica chiaramente l’area sociale che si vuole rappresentare, e che tale area sociale richiede un welfare specifico, anche innovativo, ma caratterizzato da elementi di inclusione reale (non il reddito minimo ma il reddito di inserimento, ad esempio) e di politiche economiche e dei redditi idonee a rilanciare la domanda, le prime, ed a riequilibrare il rapporto fra salario e capitale, le seconde. Che l’ondata di cambiamento tecnologico che sta investendo le economie mature in questi anni richiederà, in futuro, di ragionare su temi come l’equilibrio fra una sempre minore necessità di lavoro e la garanzia di benessere diffuso ed equamente distribuito, altrimenti finiremo in un Medioevo dove la cittadella di chi manovra le leve della tecnologia sarà assediata dai tanti esclusi privi di riconoscimento lavorativo, e quindi sociale. Che gli aspetti negativi o esplosivi della globalizzazione vanno governati cercando di agire sulle cause strutturali che li originano. Non subiti o affrontati in modo buonista o umanitario, un po’ con la logica della compensazione delle esternalità sociali negative per terrore di tornare a ripiegarsi su concetti, in realtà neutrali, ma apoditticamente colorati di valenze negative incomprensibili, come la comunità nazionale o le comunità locali, come suggeriscono le sinistre liberalsocialiste incarnate dai partiti appartenenti al Pse. Che il diritto all’inclusione socio-lavorativa ed a una vita libera da affanni materiali è, come minimo, importante tanto quanto i diritti civili (io direi più importante di questi). E che per fare questo non servono strane piattaforme informatiche, consultazioni on line o illusioni di partecipazione diretta, o ingannevoli spontaneismi dal basso che alla lunga non reggono alla durezza della fatica del governo, ma corpi sociali robusti e dotati della capacità di fare sintesi degli interessi sociali che intendono rappresentare, e mediazione rispetto agli interessi contrapposti. E che per fare questo occorre recuperare il meglio delle culture politiche socialiste, comuniste, socialdemocratiche e cattolico-sociali, attualizzandolo alla situazione. Che questo recupero non si fa con i tavoli di lavoro di tre giorni o con qualche chiacchiera su facebook, ma con un confronto intellettuale che sia il frutto dello studio e dell’analisi.
E bisogna dire che tutto questo è preliminare ai ragionamenti sul posizionamento nell’arco politico. Centrosinistra, ulivismo, oppure, alternativamente, contrapposizione ex ante rispetto al Pd sono marchingegni tattici utili a coltivare diversi tipi di orticelli, ma che non interessano minimamente agli elettori. Le alleanze devono essere guidate dalla proposta, non discusse quando la proposta non c’è. Da questo punto di vista, è condivisibile chi dice che, dalle amministrazioni locali guidate in alleanza con il Pd, occorre scendere man mano che tali amministrazioni vanno a scadenza. Per ricominciare daccapo. E dal capo giusto, che è quello della cultura politica. Non da quello degli apparentamenti.
Se non si dicono queste cose, non si dice niente di nuovo o di autonomo. Non si può ambire a rappresentare la “trasformazione”, come spesso detto durante la tre giorni. O si finisce per essere schiacciati dall’europeismo acritico e dal liberalismo moderato tipico del socialismo europeo, o ci si allinea alla demagogia grillina della democrazia diretta. Oppure si fanno narrazioni, ma oramai, come disse un famoso napoletano, ‘o presepe nun ce piace chiù. La vedo molto, molto dura.

Nella foto palloni gonfiati che aleggiano sul popolo. Per fortuna non aleggiano tra il popolo, anche perché se scendessero a quel livello rimedierebbero solo scaracchi in faccia.


martedì 16 febbraio 2016

Nudi alla meta, senza un cazzo da dire.

Un articolo piuttosto illuminante, che vi rigiro come link e per esteso, e al quale mi riservo di aggiungere una breve conclusione.

La Sinistra ha paura del “patriottismo costituzionale”?
Analisi di un incontro con i parlamentari di Sel Michele Piras e Lara Ricciatti. L’impossibilità di politiche espansive rispettando i vincoli Ue e il rischio che i nuovi partiti nascenti cambino il vestito senza cambiare la testa. D’Attorre: “Costituzione sovraordinata rispetto ai Trattati”

Mi ero recato all’incontro organizzato all’hotel Progresso di San Benedetto lunedì 8 febbraio per intervistare il deputato Alfredo D’Attorre, il quale sta girando l’Italia nell’ambito di una serie di iniziative nazionali per la presentazione dell’evento “Cosmopolitica”, che si svolgerà dal 19 al 21 febbraio a Roma per la nascita di un nuovo partito della “Sinistra Italiana”. D’Attorre, fuoriuscito dal Pd, e a mio umile avviso tra le voci più sincere (e lungimiranti) dell’attuale Parlamento; l’unico dal quale ho letto espressioni come “sovranismo democratico“, “patriottismo costituzionale“, “Costituzione da sovraordinare rispetto ai Trattati Europei“, “noi siamo keynesianie anti-liberisti” e via dicendo. Purtroppo un malanno di stagione gli ha impedito di partecipare.
Ad ogni modo l’appuntamento è stato molto interessante, consentendo anche di valutare gli umori di quella parte di “sinistra”, di provincia o meno, che oscilla da Sel ad ex socialisti a ex Pd o quasi. Un rito di autoanalisi alla vigilia di un appuntamento per molti versi decisivo, nel bene o nel male.
Presenti tra i relatoti, oltre al segretario provinciale di Sel Giorgio Mancini, i parlamentari Lara Ricciatti, marchigiana, Michele Piras, sardo, e Maria Pia Pizzolante, pugliese, tra le principali organizzatrici di “Cosmopolitica”.
Molti gli interventi interessanti dei presenti, e anche io a quel punto non ho potuto fare a meno di porre degli elementi di riflessione. La molla è arrivata quanto un ex militante del Pci ha sollevato il classico tormentone neoconservatore, “abbiamo un problema di oltre duemila miliardi di debito pubblico, possiamo fare poco”.
Non è attuabile oggi una politica sociale definibile di sinistra alla quale vi richiamate – ho detto – E’ vero, come qualcuno di voi ha accennato, che siete considerati inadatti a governare semplicemente perché i vincoli della moneta unica escludono la possibilità di politiche espansive. In parole semplici: una politica di pieno sviluppo, pieno welfare e piena occupazione, è impossibile con l’euro, i Trattati Europei, i vincoli esterni, il pareggio di bilancio. Se si accettano questi vincoli, non esiste possibilità di sinistra; se non li si accettano, si deve essere preparati ad andare ad uno scontro molto duro”.
Michele Piras, nella sua risposta conclusiva, è entrato anche nel merito delle mie considerazioni. Era la prima volta che ascoltavo il deputato di Sel, persona indubbiamente acuta nella ricostruzione sociologica, economica e politica dell’Italia di oggi e a confronto con i decenni passati. Proprio perché mi è sembrata persona intelligente e attenta, credo che alcuni punti della sua risposta possano essere sottoposti ad una analisi critica, anche perché mi sembrano dei punti di vista molto condivisi da parte di Sel; di fatto si è riproposto lo schema presentato nel 2013, alle elezioni in alleanza con il Pd di Bersani, unica tornata elettorale per il Parlamento in cui si è presentata Sinistra Ecologia e Libertà. E appunto, se si intende formare un nuovo partito, questo sarebbe giustificato da nuove idee da presentare ai cittadini. Stesso cuore, testa diversa, vestiti diversi. Cambiare solo l’abito non sarebbe serio. Probabilmente sarebbe inutile.
1.
Secondo Piras non è vero che i vincoli europei e l’euro come è stato pensato già negli anni ’70 impediscono alla “sinistra” di proporsi come forza di governo rispettabile. Tuttavia la mia affermazione non è una “provocazione”, come è stata definita: è la storia a confermarlo. Brevemente: Syriza in Grecia sta attuando le politiche della Troika contro le quali aveva preso i voti dei greci; Hollande in Francia, pur non rispettando alla virgola i vincoli, ha l’euro e viaggia con una disoccupazione che sfiora da anni l’11%; la Spd in Germania all’inizio degli anni 2000 ha approvato riforme del lavoro che “facevano lavorare di più guadagnando lo stesso” (Oscar Giannino); la potente Francia di Mitterrand cestinò due anni di governo socialista per approdare a “le rigueur” nel 1983, proprio per i limiti imposti da un sistema molto più leggero dell’attuale euro (lo S.M.E.).
In questi stessi giorni il presidente socialista del Portogallo Antonio Costa ha “dovuto correggere la bozza di legge di bilancio, troppo espansiva, presentata alla Commissione solo a fine gennaio”, con interessi sui decennali aumentati del 30% in poche settimane, segno evidente di un attacco speculativo al quale è esposto senza le protezioni di uno Stato sovrano. Parliamo dell’Italia: Napolitano ha impedito la vittoria elettorale della stessa Sel nel novembre 2011, chiamando invece il rappresentante eurocratico Mario Monti, con i voti del Pd; tutti i governi di centrosinistra dal 1992 in poi sono stati improntati al rigore dei conti (più tasse, meno spesa pubblica) e a politiche sociali regressive, citate anche da Piras, come il pacchetto Treu negli anni ’90, le riforme pensionistiche.
Potremmo continuare. Questa è storia. Fingere che tutto ciò non sia avvenuto sarebbe imperdonabile. Non può essere una “provocazione”: il primo valore che chiedono gli italiani, oggi, è la verità, e la verità bisogna dare.
2.
Piras parla di una politica di “redistribuzione”: una “spending review” ma for the people, aggiungiamo noi parafrasando il socialista inglese Jeremy Corbyn. Premessa: la scelta di come allocare le risorse è un elemento distintivo di un regime parlamentare democratico. L’obbligo sancito dai trattati di rispettare certi vincoli non ha alcuna relazione con la Costituzione del 1948 e priva il popolo sovrano (articolo 1) dello strumento cardine per sviluppare la propria idea di società.
La redistribuzione, dunque, è cosa buona e giusta sia da un punto di vista economico, sociale ed etico, ma il suo effetto anticiclico sulla crisi economica è più ridotto e alle volte è nullo o addirittura negativo, specialmente in un sistema monetario come l’euro dove i movimenti di capitale sono liberi mentre la moneta è vincolata ad una sorta di cambio super-fisso (senza politiche di riequilibri tra gli Stati che lo adoperano: un sistema iper-leghista a livello europeo). E non dimentichiamo come la Commissione Europea stia spingendo per aumentare la tassazione sui consumi (Iva al 24%?) e diminuirla sul lavoro, in modo da aumentare la propensione all’export.
Non ci sembra vincente sfidare Renzi, che ha spostato risorse tassando il risparmioper finanziare i famosi “80 euro”, sostenendo di essere più efficaci in quest’opera. Piras ha accennato ad esempio al taglio della spesa degli F35 (circa 12-14 miliardi) e altre questioni del genere. Iniziative che possono essere condivisibili o meno, già occupate dal M5S, ma che non intercettano l’ideale di un sistema che tenda verso la piena occupazione.
3.
Di fatto già negli ultimi anni sono già state introdotte delle patrimoniali, a partire dall’Imu che colpisce la ricchezza immobiliare per finire alla tassazione dei risparmi al 25% dal precedente 12,5%. Gli effetti sono stati anche in questo caso regressivi, come qualsiasi aumento delle imposte in una economia in depressione. Non si capisce perché presentarsi all’opinione pubblica con la volontà di apparire persecutori, anziché liberatori e generosi; come pensare che agendo così, e promettendolo con anticipo, arrivino nuovi elettori? La Spagna di cui si parla tanto ha realizzato deficit del 10%.
L’Italia deve esigere pari trattamento e impiegare i 120 miliardi garantiti dalla Bce per le politiche “redistributive” di cui in precedenza. Piras cita Modiano  il quale, oltre ad essere un neoliberista come ben sa Piras, parla di un prelievo forzoso del 10% del patrimonio sul 10% delle famiglie più ricche per un gettito di 113 miliardi. “Equivalgono a tre/quattro manovre finanziarie” spiega Piras. Vero. Sulla carta, però.
Ripetiamolo: non è possibile tecnicamente (né auspicabile) applicare qualcosa di simile. Primo: ci sarebbe una fuga di capitali devastante (perché siamo in Eurozona, capitali liberi, cambio bloccato; con la lira sovrana l’unico effetto sarebbe una svalutazione). Secondo: in una situazione di disoccupazione e sotto-occupazione del genere, le politiche redistributive si fanno “dando” a chi non ha, prima che togliere a chi ha che, sempre, avrà modo di scaricare sui più deboli i nuovi costi. Perché voler far peggio?
4.
Piras ha accennato anche alle questioni del recupero di fondi dalla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione. Ci si potrebbe addentrare a lungo su questi temi, a livello tecnico. Sul fatto che i “120 miliardi di evasione” e i “150 miliardi di corruzione” siano dati aggredibili, su come le crisi economiche non dipendano dal livello di evasione e corruzione. Si confondono etica e macroeconomia, che sono insiemi non sempre sovrapponibili. Per ragioni di brevità, ci esenteremo da questa analisi. Utilizzeremo una metafora: la crisi economica che si misura, più che con dati del Pil, sulla quantità di disoccupazione e sotto-occupazione esistente e si sconfigge con politiche economiche moderne e realistiche e non con promesse di buona condotta, che in quanto tali hanno un loro grado di vaghezza e irrealizzabilità.
In conclusione, bisognerà capire se l’obiettivo finale da raggiungere è quello della piena occupazione e di avere un modello sociale sviluppato al meglio delle proprie possibilità, come da Costituzione Repubblicana, oppure una versione leggermente ammorbidita dell’austerità, mantenendo la rotta decisa da Bruxelles e Francoforte per 60 milioni di cittadini ex sovrani.



In parole povere, assente per motivi di salute Alfredo D'Attorre, ma presenti i deputati Piras e Ricciatti, e la dea ex machina della giovanile di Sel, la pugliese Maria Pia Pizzolante, quindi avendo a disposizione un tavolo di relatori che si dovrebbe normalmente considerare come molto qualificato, quello che emerge è che:

- sulla crisi dell'UE i sellini non hanno un accidente di niente da dire.

- che sono rimasti completamente refrattari al discorso sul patriottismo costituzionale sul quale Alfredo D'Attorre da tempo insiste [ dovrò scrivere un post a parte per spiegare perché siano così completamente refrattari a questo concetto ]

- Piras nega che l'Euro c'entri qualcosa con questa crisi e anzi classifica questa affermazione come "provocazione", e a quel punto si lancia in proposte marginali, non strutturali, ed in parte compiutamente liberiste nel loro contenuto.

- Se Piras si sbilancia sul fronte soluzioni da mettere in campo in una maniera che non potrebbe essere definita come di sinistra nemmeno armandosi di ardito coraggio, Ricciatti e Pizzolante risultano non pervenute, non hanno nulla da dire.
Al che risulta anche lecito domandarsi perché la prima sia stata fatta eleggere deputata e perché alla seconda sia stata affidata la giovanile.

Forse che il criterio di selezione del personale politico dentro Sel è sempre e solo stato il motto "l'intelligenza fa ombra", perché non avendo altro obiettivo strategico che coprire le spalle a sinistra al PD e difendere la trincea dell'europeismo a tutti i costi, tale strategia risulterebbe completamente indifendibile da parte di qualsiasi persona di sinistra dotata di un minimo di competenza e di indipendenza di pensiero?




Riporto le foto segnaletiche di queste nullità trasformati in politicanti.
Segnateveli, perché se "dopo" i Monti e i Draghi dovranno passare per un tribunale, a questi qua in ogni caso non bisognerà mai più dare in amministrazione nemmeno un piccolo condominio in uno sperduto paesello di provincia.


Michele Piras:

Maria Pia Pizzolante:
Lara Ricciatti:

Abbiamo già sacrificato troppo della nostra libertà, del nostro futuro, della democrazia del nostro paese e dei nostri interessi come classe lavoratrice, per garantire gli stipendi di queste nullità.

ADESSO ANCHE BASTA!