giovedì 19 gennaio 2017

La sinistra e la post-sinistra.

Mi mancano le categorie per analizzare un problema.
D'altra parte, anche se lo faccio in un modo un po' strano e non strettamente in fabbrica, "io faccio opraio" e non ho avuto troppo tempo per studiare filosofia, voi si.
I "comunisti" secondo Il Manifesto, quelli che un operaio da vicino non l'hanno mai visto e se lo vedessero non saprebbero cosa dirgli.


Quindi magari mi potete aiutare.
La questione del populismo democratico io la vedo un po' come una operazione di gigantesco svecchiamento di una sinistra ufficiale totalmente incartata. ( intendo, con incartata, ripiegata su sé stessa )
Un po' veicolo linguistico per ricompattare esclusi e sfruttati troppo parcellizzati nella società disintermediata per andarli a ripescare uno a uno coi nostri metodi tradizionali, un po' anche sostanza per confrontarsi con la ricomposizione della classe stessa dato che i soggetti da una parte e dall'altra della barricata non sono più esattamente gli stessi.
Altrettanto vale per il capitalismo in generale, dato che esso si rinnova perpetuamente nei suoi metodi pur mantenendo il proprio spirito di fondo e quindi non è più lo stesso.

In questi anni credo si sia creata una linea di faglia tra due sinistre.
C'è una sinistra, troppo sparpagliata per incidere e che nei metodi insiste nell'errore, e c'è la post-sinistra che non sbaglia nel metodo, sbaglia nella sostanza; perché vuole democratizzare cose di cui ha recepito e interiorizzato le radici profonde ( e che democratizzabili non sono ).

Procedo rudemente perché purtroppo non sono in grado di essere sottile.

La linea di frattura più evidente, quella che si vede e che è diventata critica nel dibattito, ruota intorno al problema: che vogliamo fare della globalizzazione?
C'è chi la contesta e intende governarla, e governarla significa sempre fare riferimento alle prerogative della statualità nella loro pienezza per poterlo fare.
C'è chi dice invece che essa crea ingiustizia perché è governata dai "cattivi", ma in sé è
a) una tendenza ineluttabile
b) anche un'occasione se fosse governata altrimenti.
In ogni caso lo stato non va riattualizzato, né conquistato e usato: è un rottame del passato.
Quindi "beni comuni", non industrie o banche nazionalizzate.
La sinistra sostiene che esista solo "pubblico" o "privato", e che bene comune sia solo un escamotage per dire privato senza però avere le palle di dirlo apertamente.
La post-sinistra sostiene invece la mistica dell'autogestione del bene comune, perchè nazionalizzare le banche è fascista per assonanza col termine nazione, mentre nazionalizzare l'Ilva non va bene perchè il lavoro è finito.
In questa frattura superficiale è nascosta una sostanza più profonda.
Perché in queste due macrocategorie che hanno creato due campi ( che io rudemente definisco "sinistra" e "post-sinistra" e che almeno in questa fase hanno reso anacronistica la vecchia suddivisione tra rivoluzionari e riformisti ) sono contenuti una notevole altra quantità di orientamenti comuni.

Nella sinistra è considerato l'essere stati incisivi sul fronte dei diritti sociali, ciò che apre lo spazio per poter operare avanzamenti anche sui diritti civili.
Ma esiste una gerarchizzazione delle priorità, almeno temporale, e in ogni caso i "diritti" non vengono assolutizzati ma sempre valutati guardando alle relazioni che instaurano tra soggetti, e ancora più in grande tra soggetti organizzati e modi di produzione eccettera.
Nella post-sinistra la dimensione dei diritti viene assolutizzata e non vi intravedo gerarchizzazioni, nemmeno temporali.
Diventa preminente la dimensione di una libertà individuale cui si guarda in sé, si assolutizza la dimensione dei diritti tendendo a scioglierla dalla dimensione della responsabilità del soggetto verso il resto della società.

La sinistra resta ancorata agli strumenti della moderna conflittualità tra capitale e lavoro, quindi agli strumenti del '900.
Resta agganciata ad una idea di modernità come campo di lotta ponendosi il problema di organizzare al suo interno l'alterità, la conflittualità, rispetto al blocco del potere col fine di far evolvere questa modernità in una direzione altra rispetto a quella che ci è stata imposta.
Si pone tendenzialmente il problema di capire come cambiare forma o trovare nuovi strumenti entro modi di produzione e accumulazione diversi, quindi dentro diverse strutture e rappoti sociali nel senso più ampio, per far tornare incisive vecchie lotte e rivendicazioni.
La post-sinistra mi sembra sostenga che in un mondo e in un quadro completamente mutato tutto debba mutare, e che ritenga fondamentalmente la sinistra come "conservatrice", quando non addirittura reazionaria; proprio riprendendo la questione dei diritti ad esempio, che non essendo considerati dalla sinistra come un qualcosa che si esercita immersi in un vuoto etico sono anche qualcosa cui non si apre incondizionatamente.
In pratica la post-sinistra considera il progresso della modernità come un dato in sé neutrale entro il quale operare, pensa di organizzare una conflittualità dei soggetti dando per acquisita o addirittura per scontata la neutralità di classe della cornice entro la quale si opera.
In tanti casi beatifica addirittura questa cornice facendo in questo mostra di un positivismo fuori tempo massimo che francamente mi lascia di stucco.
Questa contrapposizione è ben esemplificata dalle tante occasioni di dibattito pubblico cui mi è capitato di assistere con persone di sinistra e altre di post-sinistra che litigano sulla parola d'ordine reclamiamo lavoro oppure reddito?
Sinistra lavorista versus post-sinistra redditualista, se mi permettete i neologismi ad mentula canis.

Questo determina che da un lato, quello della sinistra, abbiamo:
- chi vuole recuperare lo stato,
- chi è tendenzialmente anche contrario all'integrazione europea vista come non democratizzabile, niente altro che un epifenomeno regionale della globalizzazione capitalistica che sul terreno della democrazia si traduce in una abrogazione della democrazia partecipativa in favore di una oligarchia tecnocratica
- chi considera il femminismo come parte di una lotta contro la forza del capitale che frammenta il fronte del lavoro e quindi è sensibile a quelle iniziative che risolvano la discrepanza di reddito e carriera tra uomo e donna, ma disinteressato quando non proprio insofferente per tutte queste altre cose che puntano sulle questioni semantiche, linguistiche ( avvacatA, si dice avvocatA! )
- chi considera i diritti come una questione collettiva anche quando si tratta di diritti civili e, ad esempio, finchè vogliamo fare il matrimonio civile anche per gay e lesbiche è assolutamente d'accordo, ma nel momento in cui si comincia a parlare di gravidanza surrogata insorge
- chi è tendenzialmente favorevole a forme organizzative pesanti e come minimo sospettoso verso movimentismo, "società civile", auto-organizzazioni, non regolate sempre attraverso una statualità che poi istituzionalizzi e gestisca regole chiare, che sta lassù al vertice del potere dello Stato e ci è nemica solo perché non l'abbiamo conquistata noi. Essendo questo il problema: prendersi lo Stato, non smantellarlo.
- come conseguenza di tutto questo, abbiamo una compagine di persone completamente indisponibili a parlare ancora di "centrosinistra", anzi, ormai esplicitamente convinte che essere stati in qualsiasi modo compartecipi dei vari centrosinistra sia una colpa storica difficilmente emendabile rispetto alla quale si debba invertire la rotta a 180°.

Dall'altro lato abbiamo.....Sel. ( permettetimi di sintetizzare, altrimenti mi perdo ).
Sia quella sciolta un mesetto fa sia quella Sel eterna che si ripropone e ri-infila ovunque.

Una parte è interessata al populismo, Sel le sarà sempre e comunque inevitabilmente ostile.

La sinistra ha un problema di frammentazione.
In parte non ricomponibile, perché il rifiuto ( anche comprensibile ) rispetto a come si è evoluta la modernità ha spinto determinate realtà a chiudersi nella bolla di un universo parallelo nel quale sta sempre per scoppiare la rivoluzione e noi 15 che abbiamo ragione ne saremo a capo.
La lista sarebbe lunga; se qualcuno proprio ci tenesse enumererò i vari esempi in privata sede.
Insomma la marginalizzazione rispetto alla realtà e una inclinazione naturale al dogmatismo dottrinario fa si che parte consistente di essa sia da dare ormai per persa, perché di fatto composta da gruppi che a tutti gli effetti sono diventati sette mistico-religiose.
La post-sinistra invece è ovunque e in nessun luogo insieme.
Se il problema del settarismo non ce l'hanno, la mia idea è che essi vogliano essere conflittuali circa la gestione di qualcosa ( tutto, ormai ) avendone però accettate le ragioni e storture profonde.
Vogliono la monarchia assoluta salvo poi protestare perché il Re comanda da autocrate invece di essere democratico.
Ma dai?
Insomma, non sono più di sinistra: sono dei liberali che si credono altro.

Guardate che mi sono convinto ormai che la distinzione tra sinistra e post-sinistra possa essere identificata anche retroattivamente rispetto alla linea di faglia più evidente prendendo a caso qualsiasi altra contraddizione.

Quelli che non considerino l'utero in affitto una reificazione inaccettabile ( quando non proprio una indifendibile porcheria parafascistoide ), gira e rigira sono
- anche tutti o quasi europeisti,
- sono quasi tutti quanti innamorati di quella scempiaggine che sono le identity politics dalle quali anche un personaggio che non è proprio il più inveterato barricadero, il senatore Sanders, ha preso le distanze e che sono invece l'orizzonte culturale ideale dell'immaginario radical chic dalla Boldrini passando per Hillary Clinton,
- se solo ti sentono affermare che parlare di sovranità popolare è fuorviante perché essa non si esercita nel vuoto ma solo entro spazi istituzionali ben precisi, quindi non esiste sovranità popolare fuori dalla sovranità nazionale, già ti hanno bollato come rossobruno e non ti parlano più insieme anzi si mettono a dire agli altri che bisogna isolarti.

Eccetera, eccetera, eccetera, eccettera fino alla noia.

Lo sapete il dramma?
Nelle varie composizioni e ricomposizioni della sinistra "ufficiale", partitica per così dire, la cosa ovvia da fare sarebbe separare e poi ricomporre su basi omogenee sinistra e post-sinistra.
Avremmo due partiti abbastanza omogenei, non politicamente paralizzati da insolubili conflitti interni, in grado quindi di operare portando avanti un progetto politico che sia una linea di compromesso tra le varie componenti ma non considerato da nessuno come una svendita o una abdicazione rispetto alle proprie opzioni.

Invece no.
Ognuno tiene al proprio interno gli uni e gli altri.
In SI il riformista di sinistra Fassina si deve ritrovare la palla al piede della post-sinistra furfara e O'Johnna ( quando non ancora peggio, cremonesa, pirovana o smeriglia ).
In Rifondazione la sinistra più conflittualista di Boghetta, Greco o Moro vedrete che alla fine riuscirà a perdere ancora una volta il congresso rimanendo ostaggio della post-sinistra forenza, col placet di Brioscino che è, invece, soltanto il nulla impastato col niente.
In entrambi i casi l'esisto tragico sarà consegnare al nulla le intelligenze politiche valide che, da una parte e dall'altra, ci sarebbero.

Se in un brainstorm di 10 persone ci sono 3 genii, 6 persone intelligenti e una testa di cazzo, quel trust di cervelli potrà partorire soltanto cazzate.
L'idiozia ha sistematicamente la capacità di neutralizzare qualsiasi guizzo di genio, qualsiasi volontà, qualsiasi opera buona.
Nello stesso identico modo se in partito di sinistra c'è anche una solta cordata organizzata di post-sinistra, ad andar bene, avremo l'ennesimo inutile partito radical chic.

Secondo me la conseguenza è che se non scomponiamo e poi ricomponiamo lungo le linee di faglia tematiche, ottenendone in seguito una sinistra che si occupi seriamente anche di populismo per espandersi ampiamente oltre i propri confini, ponendosi il problema di costruire popolo oltre che quello di ricompattare la classe, lo sfondamento nel ( e conseguentemente anche del ) paese lo avremo da parte dei populismi di destra.
I quali a conti fatti altro non sono che le solite destre sociali di sempre.

Tuttavia bisognerebbe anche analizzare quali siano le motivazioni profonde, culturali, teoriche e di conseguenza pratiche, di questo divorzio tra sinistra e post-sinistra; perché se non si sa da dove si viene si finisce per non capire nemmeno dove si voglia andare.
Infatti se scaricare la colpa su Toni Negri e compagnia brutta è, per molti versi, anche fondato ed altamente soddisfacente...non è purtroppo sufficiente.

con un cucchiaio di vetro
scavo nella mia storia
ma colpisco un po' a casaccio
perché non ho più memoria


Su quest'ultima questione lascio però il problema in mano ad altri dato che io non sono in grado.