lunedì 7 marzo 2016

Arrivederci Saro, per il poco che conta non ti ho dimenticato.

Per introdurre la lettura di questo post di natura strettamente personalistica devo prima aggiungere un idoneo sottofondo musicale.

Ora ci siamo; fate partire la musica e vi posso raccontare una storia che parla di un alunno di una ventina di anni fa, che aveva ancora tutti i capelli, e di un professore di Storia e Filosofia.

Rosario Galante, Saro per chiunque fosse con lui minimamente in confidenza, fu il mio professore di Storia e Filosofia del quarto e quindi anno, al Liceo Scientifico Statale Giuseppe Novello di Codogno.

Saro è stata una delle persone più importanti con le quali abbia avuto a che fare nella mia vita, se oggi a 38 anni da poco compiuti, faccio un bilancio provvisorio della mia esistenza.
Molto di ciò che sono lo devo a lui, a quello che mi ha trasmesso - soprattutto fuori da scuola - e anche alle scomode domande con le quali mi ha imposto di confrontarmi, riuscendo a farlo in modo che tutto sembrasse fuori che una imposizione.

Era un bravissimo professore, purtroppo danneggiato nelle sconfinate potenzialità intellettuali da caratteristiche emotive tra le quali emergeva una timidezza al limite del patologico, credo, da cui anche la balbuzie piuttosto pronunciata.
Quando lavori con la parola - insegnare storia e filosofia questo è - e non ti è facile parlare...
Però aveva una testa affilata come un rasoio, e sarà in parte per la lucidità non comune e in parte perché in una vita si finisce sempre per fare di necessità virtù se si ha l'intelligenza per valorizzarsi, ma il suo bisogno di centellinare i vocaboli pronunciati si traduceva nel fatto che, veramente, ogni parola che pronunciava era soppesata e densa di contenuti, pesante come un macigno.
Se per Gramsci le parole sono pietre, per il prof. Galante ogni parola era un'incudine.
E nonostante questo sapeva anche essere allegro, sapeva infondere allegria, e se lo prendevi per il verso giusto dimostrando curiosità per quel che aveva da dire, sapeva unire una non comune capacità di ascolto con un'ironia che ti lasciava col sorriso sulle labbra anche quando ti stroncava.
Del resto aveva la grandezza d'animo di chi tante volte era capace di stroncare anche sé stesso, e lo faceva senza alcuna autocommiserazione o pietismo, quasi con freddo distacco.
Criticare gli altri, son buoni tutti. Criticare gli altri inquadrandolo in una più ampia critica a sé stessi, ne son capaci solo le persone che hanno uno spirito fuori dal comune.

La nostra era una bella classe.
La rimpiango.
Eravamo degli efferati casinisti, ma si era creato un bel gruppo.
Delle materia umanistiche ce ne fregava poco e ci piaceva il casino, ma era ugualmente una classe di grandi potenzialità ( in ambito scientifico in parecchi hanno raggiunto risultati e professioni notevoli ).
Insomma, casinisti di talento, ragazzi divertenti e che si divertivano, in un piccolo paese di campagna e provincia, ma con il retroterra di una intelligenza media e di una prontezza di spirito che in poche classi si trova.
Un po' il limite della classe piuttosto disinteressata alle discipline umanistiche e un po' i suoi limiti verbali, facevano si che le sue lezioni fossero un po' incasinate, ma quel poco che si quagliava veramente ha lasciato traccia e, credo, non soltanto in me.
Perché quando ho potuto parlarne con ex compagni tutti quanti lo ricordano con stima.

Io ero uno di quelli che a lezione se lo cagava di più, nonostante la mia refrattarietà per il pensiero astratto si traducesse in un supremo disinteresse per la filosofia.
Ma per la storia ho sempre avuto una passione vera e sincera.
E così in quinta posso dire di non essere mai stato interrogato; facevamo delle chiacchierate su fatti storici scambiandoci opinioni, in classe e fuori.
Questo mi valse un 8 in storia, e al traino un 7 in filosofia ( il primo meritato e il secondo del tutto forfetario ) coi quali mi presentati all'Esame di Maturità.

Dopo diplomati non ci perdemmo completamente di vista. Vivevamo a una trentina di km di distanza ma ci siamo tenuti in contatto per non meno di un lustro e tante vole mi è capito che con la mia cinquecentina ereditata da mio nonno facessi la strada tra Lodi Vecchio e Miradolo Terme, per andarmi a bere una pinta o una bottiglia di bonarda col prof, passando un venerdì o un sabato sera a chiacchierare delle cose più disparata fino quasi al mattino successivo.
Varie volte veniva con me anche quello che ai tempi era il mio amico per la pelle, Vlad ( al secolo A.B. se mi leggi ti riconoscerai ).
C'era per una differenza; per lui come anche per me, c'era per Saro una grande simpatia.
Per me però c'era anche un comune sentire culturale, ideologico, e varie passioni in comune.

Eh si, perché Saro anche questo è stato, un Comunista con la C maiuscola.
Tante volte abbiamo chiacchierato e commentato libri, tra un bicchiere di vino e una fetta di melone freddo di frigo.
Marx, Gramsci,  Lukács, del quale tenevi una foto appesa in sala di fronte all'enorme libreria stipata di libri. Con quest'ultimo in realtà non hai avuto gran successo, almeno con me.
E invece chissà, forse avevi ragione.
Magari avresti avuto più successo con Althusser, ma ormai è tardi per saperlo, e mi tocca arrabattarmi da solo senza più un maestro che mi faccia da guida.

Saro aveva avuto una vita piuttosto singolare, che aveva plasmato il suo modo di rapportarsi al mondo.
Per formazione era un epistemologo.
Ciò dipendeva dal fatto che la sua prima passione era stata la Fisica, lui diplomato allo scientifico e non al classico.
Del '51 e quindi diplomato nel '69-'70, anni caldi, decise di cambiare area e da Palermo si iscrisse a Fisica, Università Statale di Milano, città studi in via Celoria.
Dovendosi però mentenere da solo, nel giro di un anno si rese conto che con tutte quelle ore di laboratorio e le frequenze obbligatorie oltre che gli esami da preparare non solo studiando e rimeditando il testo ma anche svolgendo montagne di esercitazioni, gli sarebbe risultato impossibile laurearsi lavorando.
Non era un lavoretto qualsiasi il suo: turni notturni alla Falck a Sesto san Giovanni, operaio metallurgico, in anni in cui la classe operaia aveva veramente due coglioni di acciaio inox temprato.
Lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori venne, infatti, approvato in parlamento un anno dopo che Saro arrivò a Milano e entrò all'Università e in fabbrica.
"Al figlio del padrone, quando gli passavamo davanti, gli sputavamo sulle scarpe e eravamo forti perché lo facevamo tutti insieme".
Lezione inestimabile Saro; oggi siamo all'angolo perché non lo facciamo più tutti insieme, e quindi se qualcuno osa da solo si taglia le gambe con le proprie stesse mani.
Nel '69 invece sputavate tutti insieme e nel '70 arrivavano risultati concreti.

In seguito, una volta laureato, Saro ha fatto tante altre cose interessanti nella propria vita.
Col suo primo amore per le scienze dure e una formazione ormai completa da epistemologo, congiunta all'aver imparato il tedesco sul serio perché da buon marxista e studioso di filosofia nel senso più ampio, i "sacri testi" se li era infine studiati in lingua originale, era finito in Germania a lavorare come sceneggiatore di documentari scientifici.
In questo modo univa tre passioni: la scienza, l'epistemologia e il cinema, altra cosa di cui spesso parlavamo avendo entrambi una passione smodata per gli autori della Neue Welle tedesca degli anni '70 ( Herzog, von Trotta, Wenders,
Schlöndorff, Fassbinder, Reitz.... ) e nel frattempo imparò a cavarsela anche col tedesco parlato.
Tornato in Italia si occupò per breve tempo della stessa cosa.
Avrebbe potuto farci i soldi, aveva anche dei contatti personali ( sui quali non mi dilungo perché si va nella confidenza privata ) nel giro della allora nascente TV commerciale, ma antiliberista prima che l'antiberlusconismo diventasse il cliché di una sinistra con ormai più niente da dire, invece che fare i soldi nel dietro le quinte della TV optò per l'insegnamento nei licei.

Dopo averlo perso di vista per qualche tempo lo ricercai pochi anni fa, mi pare nel 2010.
Volevo tanto risalutarlo, rifarmi qualche chiacchiera sul mondo, approfondire questioni filosofiche e politiche e magari chiedergli se tra una chiacchierata e l'altra avesse voglia di darmi qualche lezione di tedesco, ma avevo perso il numero di telefono.
Cercai di risalire a lui tramite la scuola e facendolo, mentre cercavo un indirizzo email al quale scrivergli sul sito del nostro vecchio liceo....scoprii che la biblioteca di istituto era stata intitolata a suo nome.
Non si intitolano biblioteche a nome dei vivi, di solito.

Mi sentii una merda, un figlio reietto in un certo senso.
Perdonami.
Non avevi molte persone a questo mondo, avrei dovuto esserci, e invece quanto ho saputo che un male fulminante ti ha portato via in poco tempo, era già troppo tardi.


Una cosa, nelle nostre discussioni sulla cultura in generale e la scuola italiana in particolare, Saro mi aveva detto e solo a distanza di anni ne capisco veramente il senso.
Vedesti giusto.
Saro, vecchio studente di Fisica passato a quel ramo della Filosofia che più da vicino indaga come funzionino le scienze dure, diceva sempre che col suo vecchio collettivo studentesco di aspiranti epistemologi aveva chiesto al consiglio facoltà di introdurre nel corso di laurea anche un esame di analisi matematica e uno di storia della scienza.
Aggiungeva, poi, che anche i corsi scientifici e di ingegneria avrebbero dovuto includere un omologo esame di storia della scienza e uno di epistemologia.
La sua idea era che una cosa simile fosse necessaria a correggere un vizio di fondo dell'istruzione in Italia, e una reazione speculare e opposta al vizio di fondo.
Diceva che la vecchia riforma Gentile della scuola italiana aveva, nonostante venisse da fascismo, lasciato al paese un liceo che era veramente di eccellenza ma che aveva un grave limite: aveva concorso a creare l'idea che "cultura" fosse soltanto ciò che era umanistico e non scientifico.
Questo errore di impostazione aveva procurato una crisi da rigetto in senso opposto nel mondo dello studio delle scienze dure: ingiustamente escluse dall'esser, le scienze, considerate mondo della cultura, nell'ambito delle scienze dure permaneva con malcelato orgoglio un approccio positivista completamente fuori tempo massimo, che produceva ( e purtroppo produce ancora ) scienziati e ingegneri non solo completamente disabituati a porse domande di senso su ciò che erano in grado di fare e le ripercussioni sociali potenziali di quel che avevano appreso, ma orgogliosi di essere refrattari al "perder tempo" ponendosi simili domande.

Un altro suo contributo fondamentale collegato alla sua formazione fu il fatto che in quinta, invece che sfrancicarci i coglioni con cose francamente poco utili ( chissel'incula Kierkegaard? ) ci fece leggere Thomas Kuhn, e poi passammo un mese a discuterne.
Non solo fu interessante per imparare a porsi domande sul senso del concetto di progresso, se umanità e scienza progrediscono secondo un percorso lineare e cosa veramente sia il progresso, ma fu anche concretamente utile perchè quell'anno uscì un tema sulla storia dell'evoluzione del pensiero scientifico, e quindi lo scritto di italiano alla Maturità risultò una passeggiata.
Per questo un altro insegnante, che ha sfiorato questi temi qui, mi ha fatto tornare in mente tante altre vecchie discussioni col mio vecchio insegnante.

Estensivamente possiamo dire che qualcosa di simile è capitato anche nelle Facoltà di Economia, dove una ritirata ideologica a fine anni '70 ha fatto si che ad oggi, di fronte al ri-fallimento del liberismo ( il primo fu nel 1929 ), questa ideologia che rappresenta gli interessi dominanti, e già fallita nei riscontri empirici, non abbia letteralmente fatto una piega e la si studi in regime di pensiero unico avendo completamente rimosso ciò che discende da Marx e pure quanto discenda da Keynes.
Questa "occupazione accademica" del pensiero unico è stata più volte denunciata dal prof. Bruno Amoroso, che ha varie volte raccontato delle "call girl" prezzolate del giornalismo e dell'accademia.

Ci ho messo anni a capirlo, quanto avessi ragione, caro prof.
Certe cose me le spiegasti almeno 15 anni prima che qualcun'altro scrivesse:
<Il mio parere è che lei è solo una persona imbevuta di stereotipi. Non è un male, per carità. Anzi! Proprio quello che l'Europa vuole: costruire una generazione di persone dotate di "saperi" tecnici e privi però di cultura. Persone manipolabili perché hanno letto il Dornbusch-Fischer (o quello che ha letto lei), ma non hanno letto Delitto e castigo. Persone non particolarmente umane, ma funzionali al mantenimento di certe logiche di potere. Anche e soprattutto quando pensano di lottare.>Tu però, Saro, avevi un'altra qualità.
Insegnavi veramente perché non stavi in cattedra, e avevi una coerenza nella vita che mi ha insegnato qualcosa di importante.
Per il poco che conta non ti ho dimenticato.

2 commenti:

  1. Una vera sfortuna che non ti sia ricordato prima di cercarlo. Quando penso alle tante persone che ho incontrato nella vita, e perso di vista, ebbene comincia ad angoscirmi l'idea che non ci siano più, che siano andati via senza che potessi rivederli. Penso, ad esempio, al mio amico Anwar, un egiziano compagno di lunghe errabonde passeggiate a piedi a Roma e Firenze, e di viaggi in centro Italia a vender croste di quadri nei mercatini (1978-80), e mi chiedo: dove sarà? Ma soprattutto: anche lui è ancora qui, in questo mondo, come me? Non lo so.


    p.s. Ah, Ti ho beccato! Sei uno di quelli che si guardano i video dei calimeros!

    RispondiElimina
  2. Los calimeros are the new http://sangam.org/wp-content/uploads/2013/10/Young-Giap-left-with-his-mentor-Ho-Chi-Minh-in-1945.jpg

    RispondiElimina