martedì 29 marzo 2016

Convinzioni. Orizzonti ampi e maturità politica.




Sono assolutamente convinto che in questa fase storica, una sinistra sensata, radicale quel che basta per darsi una linea politica chiara su base nazionale in merito al fatto che PD e cespuglietti che gli orbitano intorno sono nemici, e sul piano europeo riguardo al fatto che l'UE ( con tutti i suoi annessi e correlati, anche monetari ) non è riformabile, ma insieme né settaria né identitaria ( che vi sentiate socialdemocratici e radicali di sinistra e guardiate a Keynes e post-keynesiani, o che vi sentiate comunisti e figliastri remoti di Marx/Engels VA BENE UGUALE, perché in questo momento entrambi questi punti di vista, se portati avanti sensatamente, comportano l'adozione delle MEDESIME PRIORITÀ ), avrebbe enormi margini di espansione, se solo trovasse la via della propria riorganizzazione dal basso e trovasse qualche fondo da spendere per conquistarsi una visibilità mediatica che proceda in parallelo alla ri-costituzione di una seria alterità/conflittualità sociale.
Conflittualità pacifica ma insieme ferma, non finalizzata a negoziare un assessorato a breve termine ( per questo c'è già Sel, che per altro conflittuale non lo è affatto ).

A tal fine prioritario sarebbe intessere rapporti con quelle persone che scrivono e organizzano
questo
e quest'altro

SENZA pretendere di cooptarli dentro qualcosa d'altro, di precostituito sul piano formale e organizzativo, coltivando la presunzione di avere tutte le ricette già pronte e giuste, ma cercando insieme una via negoziandola su basi di parità e accettando l'esito di un percorso VERAMENTE APERTO, senza paracadute, NON INDIRIZZABILE SEMPLICEMENTE PERCHÉ SI HA ALLE SPALLE IL PROPRIO MOVIMENTINO DI 100 PERSONE, SUFFICIENTE A DETERMINARE L'ESITO DI UNA ASSEMBLEINA DI 36 PERSONE CHE, IN REALTÀ, NON SI CAPISCE NEMMENO DA CHI SIANO STATE "DELEGATE".
La costituzione di un partito di sinistra all'altezza dei tempi non può e non deve essere un percorso autoreferenziale.
E se si lavora col paracadute, cioè ci si muove dentro un alveo prestabilito e precostituito se e solo se si è convinti di poterne indirizzare il percorso nella presunzione di avere già in tutto e per tutto la "ricetta buona", non si serve il popolo perché non gli si va davvero incontro, semplicemente si passa il tempo a compiacersi di sé stessi.

Per questo motivo io non perdo e non perderò tempo ad alimentare polemiche con altri movimenti che contestino UE ed euro, ben sapendo che ciò è possibile farlo sia da sinistra ( su basi che condivido ) sia da destra ( su basi che combatto e combatterò anche in futuro ), ma semplicemente tesserò reti di relazioni umane e politiche con chi, parlandoci, mi convincerò abbia moventi e obiettivi sottoscrivibili.

Fare il Pcl che litiga col Pdac, non mi interessa.
E non interessa al popolo.
Lasciamoci alle spalle le sette, le modalità gestionali e comunicative tipiche delle sette.
Questa gente rifiuta il mondo contemporaneo, e hanno anche ragione a rifiutarlo, ma è evidente che non aspirano a cambiarlo preferendo rifiugiarsi nella loro dimensione parallela di formulette rituali precostituite, ragion per cui il loro nemico diventa il loro più stretto vicino di azione politica banalmente perchè non aspirano più a fare paura a nessuno al di fuori della loro realtà parallela, separata dal mondo reale, entro la quale animano le proprie polemicucce.

Io invece aspiro a fare paura a qualcuno!
E se sprecassi il mio tempo in queste polemicucce, proprio per questo motivo, renderei sterile e vano ogni mio sforzo perchè la maggior parte delle persone nemmeno si accorgerà della mia esistenza e, quand'anche se ne accorgesse, non mi considererebbe ( giustamente ) degno di fiducia alcuna dato il mondo e gli interlocutori coi quali perderei il mio tempo.

Se si vuole uscire dalle catacombe del web o di sacche politico/sociali dai percorsi e dagli esiti politici già definiti ( il ghetto dei sovranisti, molti dei quali dentro quel ghetto meritano di rimanerci ), bisogna sforzarsi di darsi un respiro ampio; il che significa tenersi buoni tutti gli interlocutori sensati ( che non vuol dire politicamente sovrapponibili al 100%, basta che non ti siano opposti, perché con chi avrà anche solo un 51% di somiglianza al redde rationem ci si dovrà alleare ) e parlare del mondo che sta FUORI da queste minuscole realtà delle quali al popolo non interessa e che a dirla tutta sono maggioritariamente composte da pazzi, disadattati, idioti e anche da qualche volpone non esattamente in buona fede.


Coglionazzi?



Voglio sperare che nessun savio di mente, socialista, progressista, magari addirittura anticapitalista ( e quindi evidentemente antieuropeista, infatti stiamo parlando di savi di mente e non di COGLIONAZZI ) cada nell'equivoco, non rendendosi conto del fatto che l'iniziativa Alternativa Per l'Italia, nata dal sito Scenari Economici, ha prospettive politiche in nulla sottoscrivibili.

Stiamo parlando di gente che non costruirà un bel cazzo di niente, liberisti puri ( il liberismo si fa con o senza moneta unica ), ai quali tanto per dirne una l'UE va benissimo purché sia senza l'euro ( e chissenefrega dei deficit di democrazia ), la cui propaganda anti-immigrazione non ha alcun valore sistemico concentrandosi esclusivamente su un profilo xenofobo-complottista con deliri su Kalergi annessi e che, in ultima istanza, in dirittura d'arrivo pre-elettorale risolverà tutta la propria azione in uno spottone elettorale pro Lega Nord via Claudio Borghi.
Quello che il razzismo gli sta bene per intenderci, e quello che l'euro non lo vuole ma la flat tax al 13% invece si.
Quello già trombato sia alle politiche sia per la regione Toscana, che però ha portato qualche migliaio di voti che sono serviti per rieleggere Borghezio, quello che chiama Delle Chiaie "comandante" per intenderci, al parlamento europeo quando è in realtà evidente che l'unico luogo a lui confacente sarebbero le patrie galere.

E chi non capisce che in termini distributivi, per i ceti sfruttati, una flat tax equivarrebbe in tutto e per tutto a tenersi la moneta unica europea con in più l'aggravante della torsione autoritaria e xenofoba del nostro Paese è, per l'appunto, un COGLIONAZZO.

Lo dico solo una vota, e non ci torno sopra, proprio perché recuperare COGLIONAZZI è una operazione politicamente inutile.
La Lega esiste da 30 anni, e i COGLIONAZZI la votano.
Lo hanno già fatto e lo rifaranno.
Esistono delle invarianti nella storia.

Stabilito che correre dietro ai COGLIONAZZI non serve, spero ci si concentri su ciò che è utile e necessario e cioè concentrarsi su quel 50% di disillusi che a votare non ci vanno più ma che non sono né beceri, né razzisti né COGLIONAZZI, ché se lo fossero l'alternativa li bella che pronta già ce l'avrebbero.

Dixi et salvavi animam meam.

venerdì 25 marzo 2016

Quando non sai più cosa pensare, rileggi Gramsci.


Riporto degli estratti dai Quaderni del Carcere, quaderno 15.


Q15 §4
[....]
Dato che anche nello stesso gruppo esiste la divisione tra governanti e governati, occorre fissare alcuni principii inderogabili, ed è anzi su questo terreno che avvengono gli «errori» più gravi, che cioè si manifestano le incapacità più criminali, ma più difficili a raddrizzare. Si crede che essendo posto il principio dallo stesso gruppo, l’obbedienza debba essere automatica, debba avvenire senza bisogno di una dimostrazione di «necessità» e razionalità non solo, ma sia indiscutibile (qualcuno pensa e, ciò che è peggio, opera secondo questo pensiero, che l’obbedienza «verrà» senza essere domandata, senza che la via da seguire sia indicata). Così è difficile estirpare dai dirigenti il «cadornismo», cioè la persuasione che una cosa sarà fatta perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta: se non viene fatta, «la colpa» viene riversata su chi «avrebbe dovuto» ecc. Così è difficile estirpare la abitudine criminale di trascurare di evitare i sacrifizi inutili. Eppure il senso comune mostra che la maggior parte dei disastri collettivi (politici) avvengono perché non si è cercato di evitare il sacrifizio inutile, o si è mostrato di non tener conto del sacrifizio altrui e si è giocato, con la pelle altrui. Ognuno ha sentito raccontare da ufficiali del fronte come realmente i soldati arrischiassero la vita quando ciò era necessario, ma come invece si ribellassero quando si vedevano trascurati. Per esempio: una compagnia era capace di digiunare molti giorni perché vedeva che i viveri non potevano giungere per forza maggiore, ma si ammutinava se un pasto solo era saltato per la trascuratezza o il burocratismo ecc.
Questo principio si estende a tutte le azioni che domandano sacrifizio. Per cui sempre, dopo ogni rovescio, occorre prima di tutto ricercare le responsabilità dei dirigenti e ciò in senso stretto (per esempio: un fronte è costituito di più sezioni e ogni sezione ha i suoi dirigenti: è possibile che di una sconfitta siano più responsabili i dirigenti di una sezione che di un’altra, ma si tratta di più e meno, noti di esclusione di responsabilità per alcuno, mai).
Posto il principio che esistono diretti e dirigenti, governati e governanti, è vero che i partiti sono finora il modo più adeguato per elaborare i dirigenti e la capacità di direzione (i «partiti» possono presentarsi sotto i nomi più diversi, anche quello di anti‑partito e di «negazione dei partiti»; in realtà anche i così detti «individualisti» sono uomini di partito, solo che vorrebbero essere «capipartito» per grazia di dio o dell’imbecillità di chi li segue).
Svolgimento del concetto generale che è contenuto nell’espressione «spirito statale». Questa espressione ha un significato ben preciso, storicamente determinato. Ma si pone il problema: esiste qualcosa (di simile) a ciò che si chiama «spirito statale» in ogni movimento serio, cioè che non sia l’espressione arbitraria di individualismi, più o meno giustificati? Intanto lo «spirito statale» presuppone la «continuità» sia verso il passato, ossia verso la tradizione, sia verso l’avvenire, cioè presuppone che ogni atto sia il momento di un processo complesso, che è già iniziato e che continuerà. La responsabilità di questo processo, di essere attori di questo processo, di essere solidali con forze «ig» materialmente, ma che pur si sentono operanti e attive e di cui si tiene conto, come se fossero «materiali» e presenti corporalmente, si chiama appunto in certi casi «spirito statale». È evidente che tale coscienza della «durata» deve essere concreta e non astratta, cioè, in certo senso, non deve oltrepassare certi limiti; mettiamo che i più piccoli limiti siano una generazione precedente e una generazione futura, ciò che non è dir poco, poiché le generazioni si conteranno per ognuna non trenta anni prima e trenta anni dopo di oggi, ma organicamente, in senso storico, ciò che per il passato almeno è facile da comprendere: ci sentiamo solidali con gli uomini che oggi sono vecchissimi e che per noi rappresentano il «passato» che ancora vive fra noi, che occorre conoscere, con cui occorre fare i conti, che è uno degli elementi del presente e delle premesse del futuro. E coi bambini, con le generazioni nascenti e crescenti, di cui siamo responsabili. (Altro è il «culto» della «tradizione» che ha un valore tendenzioso, implica una scelta e un fine determinato, cioè è a base di una ideologia). Eppure, se si può dire che uno «spirito statale» così inteso è in tutti, occorre volta a volta combattere contro deformazioni di esso e deviazioni da esso. «Il gesto per il gesto», la lotta per la lotta ecc. e specialmente l’individualismo gretto e piccino, che poi è un capriccioso soddisfare impulsi momentanei ecc. (In realtà il punto è sempre quello dell’«apoliticismo» italiano che assume queste varie forme pittoresche e bizzarre).
L’individualismo è solo apoliticismo animalesco; il settarismo è «apoliticismo» e se ben si osserva, infatti, il settarismo è una forma di «clientela» personale, mentre manca lo spirito di partito, che è l’elemento fondamentale dello «spirito statale». La dimostrazione che lo spirito di partito è l’elemento fondamentale dello spirito statale è uno degli assunti più cospicui da sostenere e di maggiore importanza; e viceversa che l’«individualismo» è un elemento animalesco, «ammirato dai forestieri» come gli atti degli abitanti di un giardino zoologico.


Q15 §55
Passato e presente. Una delle manifestazioni più tipiche del pensiero settario (pensiero settario è quello per cui non si riesce a vedere come il partito politico non sia solo l’organizzazione tecnica del partito stesso, ma tutto il blocco sociale attivo di cui il partito è la guida perché l’espressione necessaria) è quella per cui si ritiene di poter fare sempre certe cose anche quando la «situazione politico-militare» è cambiata. Tizio lancia un grido e tutti applaudono e si entusiasmano; il giorno dopo, la stessa gente che ha applaudito e si è entusiasmata a sentire lanciare quel grido, finge di non sentire, scantona ecc.; al terzo giorno la stessa gente rimprovera Tizio, lo rintuzza, e anche lo bastona o lo denunzia. Tizio non ne capisce nulla; ma Caio che ha comandato Tizio, rimprovera Tizio di non aver gridato bene, o di essere un vigliacco o un inetto ecc. Caio è persuaso che quel grido, elaborato dalla sua eccellentissima capacità teorica, deve sempre entusiasmare e trascinare, perché nella sua conventicola infatti i presenti fingono ancora di entusiasmarsi ecc. Sarebbe interessante descrivere lo stato d’animo di stupore e anche di indignazione del primo francese che vide rivoltarsi il popolo siciliano dei Vespri.

giovedì 24 marzo 2016

Se un politico non è anche un diplomatico, non è un politico.

Oggi parliamo di diplomazia. Quello nella foto è un diplomatico dal cuore rosso.
E' dolce e buono, non si può non apprezzarlo. Ma purtroppo, alle volte, può risultare pesante e indigesto.





Dunque, questo è il mio blog, e siccome è mio, CI SCRIVO SOPRA QUEL CHE CAZZO MI PARE, ANCHE SENZA CONSULTARMI CON NESSUNO.

La Treccani online riporta queste definizioni, nel lemma "diplomazia":

diplomazìa s. f. [dal fr. diplomatie, der. di diplôme «diploma»]. –

1. L’arte di trattare, per conto dello stato, affari di politica internazionale. Più concretam., l’insieme dei procedimenti attraverso i quali uno stato mantiene le normali relazioni con altri soggetti di diritto internazionale (stati esteri e altri enti aventi personalità internazionale), al fine di attenuare e risolvere eventuali contrasti di interessi e di favorire la reciproca collaborazione per il soddisfacimento di comuni bisogni; si distingue talvolta fra d. segreta, quella tradizionale, e d. aperta (ingl. open diplomacy) che, propugnata soprattutto dagli Stati Uniti d’America a partire dagli anni della prima guerra mondiale, è caratterizzata dalla tendenza a informare, entro certi limiti, la pubblica opinione di trattative e orientamenti di politica estera.

2.

a. Il complesso degli organi (agenti diplomatici permanenti e speciali, capo dello stato, ministro degli Affari Esteri) per mezzo dei quali uno stato mantiene i rapporti internazionali con gli altri stati.

b. Carriera degli agenti diplomatici: entrare in diplomazia.

3. fig. Tatto, finezza, abilità nella trattazione di affari delicati e che richiedono prudenza, o anche nelle relazioni tra persona e persona: usare d.; agire, parlare, procedere con diplomazia.


Nel senso comune, la parola diplomazia, ha spesso assunto una connotazione negativa.
Sei un gran diplomatico, quando non si hanno incarichi istituzionali per la propria patria presso un consolato o un'ambasciata, lo si può spesso anche intendere nel senso di sei un gran paraculo, sei uno che se li sa fare i cazzi propri [ sottointeso: anche a costo di piazzarlo in culo al prossimo tuo, a tradimento, appena ti voltano le spalle ].

Questa concezione dispregiativa del termine "diplomatico" nel senso comune e popolare, come spesso accade per i luoghi comuni, il suo fondo di ragionevolezza ce l'ha pure.

Nel senso che tante volte il confine tra diplomazia e accondiscendenza, o peggio ipocrisia, può essere sottile, quasi labile.Ma il fatto che un confine sia, a volte, sottile o addirittura labile non vuol dire che comunque un confine non ci sia, e la pratica della politica è difficile anche perché consiste nella continua, ponderata e matura, gestione proprio di questo confine.
Proprio su questo argomento diventa importante l'aspetto figurato, e umano, di cui al punto 3 che riporto per completezza, e perché evidentemente RIBADIRE NON BASTA MAI!

3. fig. Tatto, finezza, abilità nella trattazione di affari delicati e che richiedono prudenza, o anche nelle relazioni tra persona e persona: usare d.; agire, parlare, procedere con diplomazia.



Un buon politico non è mai un ipocrita, perché è la Verità che ci renderà liberi, e questo è un concetto al tempo stesso cristiano, socialista e socialista&rivoluzionario, tutto insieme al tempo stesso.

Ricordo in tal senso le seguenti definizioni che dovrebbero sempre essere stampigliati nelle nostre coscienze con lettere di fuoco, come eterni moniti:
- Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
                                              Pier Paolo Pasolini
-
Dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere azione comunista e rivoluzionaria.
                                              Antonio Gramsci


Tuttavia, data la centralità che la capacità diplomatica ha nell'azione politica - che è insieme anche umana - vale contemporaneamente il principio, al di la dell'accezione negativa data a questo termine dalla vulgata popolare, che un politico che non sia anche un abile diplomatico, potrà anche essere un
- eccellente teorico,
- uno straordinario storico del movimento operaio,
- un formidabile analista,
- uno che riesce a avere ragione nel 90% dei casi ( che è tantissimo, un buon politico è già uno che riesce a prenderci nel 70% dei casi )
ma in ultima istanza......non è un politico.
Un politico non dice bugie; dice quello che sa con certezza o comunque quello che pensa essere giusto, ma sa centellinare quel che dice, secondo l'interlocutore, secondo momento e secondo contesto.
Il che significa che, pur senza dover edulcorare o falsificare il proprio pensiero, un politico  sa  che esiste modo e modo per dire la stessa cosa, e se necessario capisce che ci sono anche momenti in cui è più opportuno sapersene anche stare qualche volta ZITTI.

giovedì 17 marzo 2016

mercoledì 16 marzo 2016

SI, ma anche NO.

Per "SI", intendo Sinistra Italiana.



Se in democrazia la forma è parte integrante della sostanza, resto un po' interdetto vedendo che SI lanci la campagna tesseramenti senza che si sia prima fatto un congresso di scioglimento dei soggetti che la compongono, e un congresso di fondazione di un nuovo soggetto.
O piuttosto, se si aderisce a qualcosa che formalmente non esiste, mentre continuano ad esistere altri soggetti che però son scatole vuote, allora la forma ci suggerisce che la sostanza è quella di un progetto che più calato dall'alto di così non si può.
Qualcuno gioca alle scatole cinesi, e chi dovrebbe costruire la propria rappresentazione politica e la propria autodeterminazione, si lascia invece spostare da una scatola a quell'altra.

Mi sorprende sempre il fatto che ci siano persone in buona fede che non capiscono il senso di giochetti e trucchetti così palesi.
Ma forse l'ingenuo sono io, per il fatto che mi stupisco ancora.

Ma io....





........cosa ci faccio qui?












giovedì 10 marzo 2016

Fare l'unità dei comunisti?

Questo articolo ci pone di fronte ad una annosa questione, che oggi dobbiamo saper affrontare con la giusta rapidità.

La rapidità di un "ho modi più divertenti per perdere il mio tempo, ciao".

Bisogna ragionare con la mannaia.

Il nodo gordiano va sciolto con un colpo secco.

Il nodo gordiano dell'identità è l'intreccio delle giustificazione dei reciproci fallimenti, che riguarda:
a) gli integrati realpoliticisti da una parte, che devono salvare la continuità delle giunte arancioni e quindi tengono all'infinito i piedi in 14 paia di scarpe diverse, con l'unico non dichiarato - ma comprensibile e chiaro - obiettivo di salvarsi lo scrannetto sotto il culo
b) quelli che si credono più radicali e meno integrati perché non si inventano grandi giri di parole per salvare 3 assessorati, e poi passano il tempo a parlare di "progetti unitari" scambiando l'unità col progetto, o di "unità dei comunisti", eccettera.

Tempo perso compagni, compagne.
Tempo sprecato.
Dalla Tatcher in qua la sconfitta è stata totale e non solo politica ma, soprattutto, ideologica.
Non ha mutato solo i rapporti tra le differenti categorie sociali, ma ha proprio ristrutturato le classi.
E ha avuto tanto tempo a disposizione da riuscire anche a ricristallizzarsi in nuove forme istituzionali ( tipo la ue ) per noi non agibili.
Pensiamo di ribaltare questa partita con gli stessi strumenti già sbaragliati 30 anni fa?

Quattro questioni secche, piuttosto:

1) dalla svolta per il maggioritario di Segni in qua, abbiamo sacrificato rappresentatività in nome di governabilità, e a oggi ci ritroviamo a non avere governabilità ma governance ( automatismi, neanche scelte, un salto di qualità in peggio ) e NESSUNA rappresentatività, tanto è vero che riscrive la Costituzione il terzo parlamento consecutivo eletto con legge elettorale incostituzionale perché non rappresentativa.
Come riconoscere un potenziale compagno di strada?
Semplice, vuoi più rappresentatività o governabilità?
Chi risponde rappresentatività va tenuto in considerazione.

2) Vogliamo fare i discorsi su cosa distingue un riformista da un rivoluzionario, o vogliamo domandarci come spiegare alle persone in maniera credibile dove cazzo bisogna andare a trovare i soldi per nazionalizzare l'Ilva e darsi un piano energetico come Stato, non come appaltatori a società private, per rilanciare un po' di occupazione?
Aboliscono il patto commissorio per permettere alle banche di acquisire immobili da chi è sul lastrico, e noi dobbiamo dipendere da Francoforte per avere i soldi per nazionalizzare una banca che sta fallendo, e comunque ti dicono di no perché "è aiuto di stato?".
Ma perdere tempo a ragionare in questi termini, semplicemente, è irricevibile.
Chi ti risponde "parliamo di dove trovare i soldi" va preso in considerazione.

3) Sepolto Apperluscone e appianato che la Lega, sia pur pericolosa, è un fantoccio che sta li proprio perché ricopre il ruolo di non insidioso "nemico ideale" in un fasullo gioco di legittimazione reciproca, uno vuole ancora "spostare il PD a sinistra" o considera il PD il partito sistema cui opporsi a ogni livello?
Chi risponde "mai col PD" va preso in considerazione.

4) Hai visto cosa è successo in Grecia?
Insisti a voler riformare l'UE, o vuoi uscire?
Chi risponde "uscire" è un compagno di strada.

Ragionamento grezzo e brutale?
Ok, ma non ci scegliamo i tempi in cui operare, e i tempi sono grezzi e brutali.

Sei antifascista?
Hai risposto giusto a 4 domande secche?
Non me ne frega più un cazzo di come ti definisci, sei un compagno di strada, abbiamo una battaglia in comune.
Il resto sono seghe mentali.

Quindi non parlatemi di giunte "nostre" ( eh? giunte di chi??? ) comunque migliori di quelle degli altri. ( davvero? col patto di stabilità qualsiasi giunta DEVE fare le stesse identiche cose. Di che stiamo parlando? )
E non parlatemi nemmeno di unità dei comunisti ( aspetta che rido. Rizzo, il Pdac e il pcl sullo stesso serraglio di bestie rare, con Ferrero che la traina come una bestia da soma? Ma vi rendete conto della scena e che porterebbero i bambini a guardarci e ci tirerebbero le monetine? ).

Il problema è come garantire un ragionevole livello di democraticità interna ad un "partito popolare" in una epoca in parte di anomia e in parte di spoliticizzazione di massa, e come trovare i soldi per avviarlo ( Iglesias non li ha raccolti per strada, non vi illuderete del contrario, vero? )

Il resto ha interesse culturale per chi la politicizzazione non l'ha persa, ma all'atto pratico, non costruisce nulla e non serve ora.

martedì 8 marzo 2016

Referendum Costituzionale: i 15 motivi di Zagrebelsky per dire NO.


Voglio oggi riportare un importante articolo del prof. Gustavo Zagrebelsky, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, che con grande linearità logica, consequenzialità e precisione enumera le ragioni per votare NO al referendum sulle modifiche costituzionali.

Voglio inoltre segnalare che questo articolo, riportato in ampi stralci il giorno 6 Marzo su Il Fatto Quotidiano, nei propri punti 2 e 14 mette, tra le altre cose, in ampia evidenza come l'Europa e la spoliazione di sovranità abbiano molto a che spartire con questa "riforma", e che anche per questo occorre votare NO.

Con amarezza sottolineo ancora una volta come ciò che dice nientemeno che Gustavo Zagrebelsky, trovi orecchie sorde nei burattini dei partiti - sedicenti di sinistra - che appoggiano il referendum molto timidamente essendo tutti preoccupati a che la propaganda per il NO non assuma tagli apertamente antipiddini ( menchemeno antieuropeisti e sovranisti ).
Infatti mi è capitata assemblea nei giorni immediatamente precedenti all'uscita di questo articolo nella quale militanti di 3 diverse associazioni sovraniste, democratiche, e di sinistra, hanno avanzato le stesse identiche tematiche proposte dal professore, e la reazione dei burattini di partito è stata di immediata e scandalizzata chiusura.

Anche per questo mi rivolgo a tutti i miei compatrioti e compatriote, democratici e socialisti: diamoci dentro e buttiamoci anima e corpo nella costituzione di comitati locali, perché al di la della retorica che equivale solo ad una caccia di visibilità, i partiti, questo referendum, mirano a perderlo perchè col PD devono continuare a negoziare assessorati.

1. Diranno che "gli italiani" aspettano queste riforme da vent'anni (o trenta, o anche settanta, secondo l'estro)
Noi diciamo che da quando è stata approvata la Costituzione - democrazia e lavoro - c'è chi non l'ha mai accettata e, non avendola accettata, ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla per imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria, ricorda i nomi Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, Giovanni Di Lorenzo, Junio Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella corrente antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua presenza nella politica italiana. A costoro devono affiancarsi, senza confonderli, coloro che negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il baricentro a favore del governo o del leader: commissioni bicamerali varie, "saggi" di Lorenzago, "saggi" del presidente, eccetera. È vero: vi sono tanti che da tanti anni aspettano e pensano che questa sia finalmente "la volta buona". Ma questi non sono certo "gli italiani", i quali del resto, nella maggioranza che si è espressa nel referendum di dieci anni fa, hanno respinto col referendum un analogo tentativo, il tentativo che, più di tutti gli altri sembrava vicino al raggiungimento dello scopo. A coloro che vogliono parlare "per gli italiani", diciamo: parlate per voi.

2. Diranno che "ce lo chiede l'Europa"
(.) Diteci che cosa rappresenta l'Europa di oggi se non principalmente il tentativo di garantire equilibri economico-finanziari del Continente per venire incontro alla "fiducia degli investitori" e a proteggerli dalle scosse che vengono dal mercato mondiale. A questo fine, l'Europa ha bisogno d'istituzioni statali che eseguano con disciplina i Diktat ch'essa emana, come quello indirizzato il 5 agosto 2011 al "caro primo ministro", contenente un vero e proprio programma di governo ultra-liberista, in materia economico-sociale, associato all'invito di darsi istituzioni decidenti per eseguirlo in conformità. Dite: "Ce lo chiede l'Europa" e tacete della famosa lettera Draghi-Trichet, parallela ad analoghi documenti provenienti da "analisti" di banche d'affari internazionali, che chiede riforme istituzionali limitative degli spazi di partecipazione democratica, esecutivi forti e parlamenti deboli, in perfetta consonanza con ciò che significano le "riforme" in corso nel nostro Paese. (.) A chi dice: ce lo chiede l'Europa, poniamo a nostra volta la domanda: qual è l'Europa alla quale volete dare risposte?

3. Diranno che le riforme servono alla "governabilità"
(..) "Governabile" è chi si lascia docilmente governare e chiediamo: chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra "governo", non governabilità, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza, la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote, altra faccia della rassegnazione, e dell'abulia: materia passiva, irresponsabile e facile alla manipolazione. Questa è la governabilità. A chi dice "governabilità" noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico.

4. Diranno: ma la riforma è pur stata approvata dal Parlamento, l'organo della democrazia
Ma noi diciamo: quale Parlamento? Il Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata incostituzionale, per l'appunto, per essere antidemocratica (deputati e senatori nominati e non eletti; premio di maggioranza abnorme che ha scollato gli eletti dagli elettori). La Corte costituzionale ha bollato quell'elezione come una specie di golpe elettorale, per avere "rotto il rapporto di rappresentanza" (testuale). È vero che la Corte aggiunse che, per l'esigenza di continuità costituzionale, le Camere così elette non sarebbero decadute immediatamente.
Ma è chiaro a tutti coloro che hanno ancora un'idea seppur minima di democrazia che da quella sentenza si sarebbe dovuto procedere tempestivamente, per mezzo d'una nuova legge elettorale conforme alla Costituzione, a nuove elezioni, per ristabilire il rapporto di rappresentanza. (.) È vero che, scandalosamente, anche da parte delle più alte autorità della Repubblica, dell'informazione e da parte di non poca "dottrina" costituzionalistica, si fa finta che non esista una questione di legittimità che getta un'ombra su tutta questa vicenda, tanto più in quanto, se non vi fosse stato l'incostituzionale premio di maggioranza, sarebbero mancati i numeri necessari per portarla a compimento. (.)

5. Parleranno di atto d'orgoglio politico dei parlamentari, finalmente capaci di "autoriformarsi" senza guardare al proprio interesse
Noi parliamo, piuttosto, d'arroganza dell'esecutivo. Queste riforme sono state avviate dall'esecutivo con l'impulso di quello che, per debolezza e compiacenza, è potuto essere per diversi anni il vero capo dell'esecutivo, il presidente della Repubblica; sono state recepite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all'approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari, caducazione di emendamenti), di trasformismo parlamentare (passaggi dall'opposizione alla maggioranza in cambio di favori e posti) fino ai voti di fiducia, come se la Costituzione e le istituzioni fossero materia appartenente al governo, fino a raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta addirittura agli elettori, sull'approvazione referendaria della riforma (o me o la riforma, sempre che voglia prendere sul serio un simile proclama da parte di uno che non eccede in coerenza ed eccede invece in spregiudicatezza). Questo non è il primato della politica, ma delle minacce e degli allettamenti. Se volete parlare di politica, noi diciamo: sì, ma sapendo che è mala politica.

 6. S'inorgogliranno chiamandosi "governo costituente"
Noi diciamo che il "governo costituente", in democrazia, è un'espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos e dei colonnelli sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno la propria costituzione: costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza ma come strumento, armatura del proprio potere. Il popolo e la sua rappresentanza, in democrazia, possono essere "costituenti". I governi, poiché sono espressione non di tutta la politica, ma solo d'una parte, devono stare sotto la Costituzione, non sopra come credono invece di stare d'essere i nostri riformatori che si fanno forti dello slogan "abbiamo i numeri", come se avere i numeri, comunque racimolati, equivalga all'autorizzazione a fare quel che si vuole. (.)

7. Diranno che l'iniziativa del governo nelle faccende costituzionali non ha nulla d'anormale e, quelli che sanno, porteranno l'esempio della Francia, del generale De Gaulle e della sua riforma costituzionale del 1962.
Noi ci limitiamo a porre queste domande: credete davvero d'essere dei nuovi De Gaulle, il capo della Resistenza repubblicana che sbarca in Normandia al momento della liberazione? E di poter paragonare l'Italia di oggi alla Francia d'allora? La riforma francese aveva alla sua base le idee costituzionali enunciate "disinteressatamente" nel 1946 a Bayeux, guardando lontano e radicandosi nel passato della storia della Repubblica francese. Noi abbiamo invece testi raffazzonati all'ultima ora, la cui approvazione si è resa possibile per equivoci compromessi concettuali e lessicali, proprio sul punto centrale della riforma del Senato. (.)

8. Diranno che, anche ad ammettere che la riforma abbia avuto una genesi non democratica e un iter parlamentare telecomandato nei tempi e nei contenuti, alla fine la democrazia trionferà nel referendum confermativo.
Noi diciamo che la riforma forse sottoposta al giudizio degli elettori porta il segno della sua origine tecnocratica unilaterale e che il referendum richiesto dallo stesso governo che l'ha voluta lo trasformerà in un plebiscito. Non si tratterà di un giudizio su una Costituzione destinata a valere negli anni, ma di un voto su un governo temporaneamente in carica. (.) Avremo una campagna referendaria in cui il governo avrà una presenza battente, come se si trattasse d'una qualunque campagna elettorale a favore di una parte politica, e farà valere il "plusvalore" che assiste sempre coloro che dispongono del potere, complice anche un'informazione ormai quasi completamente allineata.

9. Diranno che non c'è da fare tante storie, perché, in fondo si tratta d'una riforma essenzialmente tecnica, rivolta a razionalizzare i percorsi decisionali e a renderli più spediti ed efficienti
Noi diciamo: altro che tecnica! È la razionalizzazione d'una trasformazione essenzialmente incostituzionale, che rovescia la piramide democratica. Le decisioni politiche, da tempo, si elaborano dall'alto, in sedi riservate e poco trasparenti, e vengono imposte per linee discendenti sui cittadini e sul Parlamento, considerato un intralcio e perciò umiliato in tutte le occasioni che contano. La democrazia partecipativa è stata sostituita da un sistema opposto di oligarchia riservata. (.) Le "riforme" costituzionali sono in realtà adeguamenti della Costituzione a questa realtà oligarchica. Poiché siamo per la democrazia, e non per l'oligarchia, siamo contrari a questo adeguamento spacciato come riforma.

10. Diranno che i partiti di sinistra, già al tempo della Costituente, avevano criticato il bicameralismo (cuore della riforma) e che perfino Pietro Ingrao, ancora negli anni 80, si espresse per l'abolizione del Senato
Noi diciamo: andate a leggere i resoconti di quei dibatti e vi renderete conto che si trattava, allora, di semplificare le istituzioni parlamentari per dare più forza alla rappresentanza democratica e fare del Parlamento il centro della vita politica (si parlava di "centralità del Parlamento"). La visione era quella della democrazia partecipativa o, nel linguaggio di Ingrao, della "democrazia di massa". Oggi è tutto il contrario: si tratta di consolidare il primato dell'esecutivo emarginando la rappresentanza, in quanto portatrice di autonome istanze democratiche. (.)

11. Diranno che siamo come i ciechi conservatori che hanno paura del nuovo, anzi del "futuro-che-è-oggi", e sono paralizzati dal timore dell' "uomo forte"
Noi diciamo che a noi non interessano "riforme" che riforme non sono, ma sono "consolidazioni" dell'esistente: un esistente che non ci piace affatto perché portatore di disgregazione costituzionale e di latenti istinti autoritari. Questi istinti non si manifestano necessariamente attraverso l'uso esplicito della forza da parte di un "uomo forte". Questo accadeva in altri, più primitivi tempi. Oggi, si tratta piuttosto dell'occupazione dei posti strategici dell'economia, della politica e della cultura che forma l'ideologia egemonica del momento. Questo è ciò che sta accadendo manifestamente e solo chi chiude gli occhi e vuole non vedere, può vivere tranquillo. Si tratta, per portare a compimento questo disegno, di eliminare o abbassare gli ostacoli (pluralismo istituzionale, organi di controllo e di garanzia) che frenano il libero dispiegarsi del potere che si coagula negli organi esecutivi. Non occorre eliminarli, ma normalizzarli, ugualizzarli, standardizzarli, il che significa l'opposto del far opera costituente.

12. Diranno che siamo per l'immobilismo, cioè che difendiamo l'indifendibile: una condizione della politica che non ha mai toccato un punto così basso in tutta la storia repubblicana, mentre loro vogliono rianimarla e rinnovarla
Noi opponiamo una classica domanda alla quale i riformatori costantemente sfuggono: sono più importanti le istituzioni o coloro che operano nelle istituzioni? La risposta, che sta non solo in venerandi scritti sulla politica e sulla democrazia - che i nostri riformatori, con tranquilla e beata innocenza mostrano d'ignorare completamente - ma anche nelle lezioni della storia, è la seguente: istituzioni imperfette possono funzionare soddisfacentemente se sono in mano a una classe politica degna e consapevole del compito di governo che è loro affidato, mentre la più perfetta delle costituzioni è destinata a funzionare malissimo in mano a una classe politica incapace, corrotta, inadeguata. Per questo noi diciamo: non accollate a una Costituzione le colpe che sono vostre. (.)

13. Diranno: non ve ne va bene una; la vostra è una opposizione preconcetta. Non siete d'accordo nemmeno sull'abolizione del Cnel e la riduzione dei "costi della politica"?
Noi diciamo: qualcosa c'è di ovvio, su cui voteremmo pure sì, ma è mescolato, come argomento-specchietto, per far passare il resto presso un'opinione pubblica orientata anti-politicamente. A parte il Cnel, che in effetti s'è dimostrato in questi anni una scatola quasi vuota, la riduzione dei costi della politica avrebbe potuto essere perseguito in diversi altri modi: riduzione drastica del numero dei deputati, perfino abolizione pura e semplice del Senato in un contesto di garanzie ed equilibri costituzionali efficaci. Non è stato così.
Si è voluto poter disporre d'un argomento demagogico che trova alimento nella lunga tradizione antiparlamentare che ha sempre alimentato il qualunquismo nostrano. Avere unificato in un unico voto referendario tanti argomenti tanto diversi (forma di governo e autonomie regionali) è un abile trucco costituzionalmente scorretto, che impedisce di votare sì su quelle parti della riforma che, prese per sé e in sé, risultassero eventualmente condivisibili. Voi dite di voler combattere l'antipolitica, ma proprio voi ne esprimete l'essenza. (.)

14. Diranno: come è possibile disconoscere il serio lavoro fatto da numerosi esperti, a incominciare dai "saggi" del presidente della Repubblica, passando per la Commissione governativa, per le tante audizioni parlamentari di distinti costituzionalisti, fino ad approdare al Parlamento e al ministro competente per le riforme costituzionali. Tutto ciò non è per voi garanzia sufficiente d'un lavoro tecnicamente ben fatto?
(.) Le questioni costituzionali non sono mai solo tecniche. A ogni modifica della collocazione delle competenze e delle procedure corrisponde una diversa allocazione del potere. Nella specie, ciò che si sta realizzando, per l'effetto congiunto della legge elettorale e della riforma costituzionale, è l'umiliazione del Parlamento elettivo davanti all'esecutivo; l'esecutivo, un organo che, non essendo "eletto", potrà derivare dall'iniziativa del presidente della Repubblica che, dall'alto, potrà manovrare - come è avvenuto - per ottenere la fiducia della Camera.
Quanto poi alla bontà del testo di riforma dal punto di vista tecnico, ci limitiamo a questo esempio, la definizione delle competenze legislative da esercitare insieme dalla Camera e dal Senato (sì, il Senato rimane, il bicameralismo anche e, se la seconda Camera non si arenerà su un binario morto, i suoi rapporti con la prima Camera daranno luogo a numerosi conflitti): "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per (sic!) le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'art. 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella (?) che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore e di cui all'art. 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116 terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma".
Se questo pasticcio è il prodotto dei "tecnici", noi diciamo che hanno trattato la Costituzione come una legge finanziaria o, meglio, come un Decreto milleproroghe qualunque: sono infatti formulati così. Quanto ai contenuti, come possono i "tecnici" non aver colto le contraddizioni dell'art. 5, noto perché su di esso si è prodotta una differenziazione nella maggioranza, poi rientrata. Riguarda la composizione del Senato e non si capisce se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali. Saranno eletti - si scrive - dai Consigli regionali "In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri". Ma, se queste scelte saranno vincolanti, non ci sarà elezione ma, al più ratifica; se non saranno vincolanti, come si può parlare di "conformità".
Un pasticcio dell'ultima ora che darà filo da torcere a che dovrà darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del cerchio. Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo d'esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare che cosa avete voluto. (.) Questi tecnici non hanno dato il meglio di sé, forse perché hanno dovuto nascondere nell'oscurità l'assenza di chiarezza che ha regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di scrivere queste norme. Loro non lo diranno, ma lo diciamo noi. Nella confusione, una cosa è chiara: l'accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell'esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare. Orbene, noi della Costituzione abbiamo un'idea diversa: patto solenne che unisce un popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in società. "Unisce"? Questa riforma non unisce ma divide. Non è una costituzione, ma una s-costituzione. "Popolo sovrano"?
Dov'è oggi svanita la sovranità, quella sovranità che l'art. 1 della Costituzione pone nel popolo e che l'art. 11 autorizza bensì a "limitare", ma precisando le condizioni (la pace e la giustizia tra le Nazioni) e vietando che sia dismessa e trasferita presso poteri opachi e irresponsabili? È superfluo ripetere quello che da tutte le parti si riconosce: per molte ragioni, il popolo sovrano è stato spodestato. Se manca la sovranità, cioè la libertà di decidere da noi della nostra libertà, quella che chiamiamo costituzione non più è tale. Sarà, al più, uno strumento di governo di cui chi è al potere si serve finché è utile e che si mette da parte quando non serve più. La prassi è lì a dimostrare che proprio questo è stato l'atteggiamento sfacciatamente strumentale degli ultimi anni: la Costituzione non è stata sopra, ma sotto la politica e perciò è stata forzata e disattesa innumerevoli volte nel silenzio compiacente della politica, della stampa, della scienza costituzionale. Ora, la riforma non è altro che la codificazione di questa perdita di sovranità. Apparentemente, la vicenda che stiamo vivendo è una nostra vicenda. In realtà, chi la conduce lo fa in nome nostro ma, invero, per conto d'altri che già hanno fatto il bello e il cattivo tempo nei Paesi economicamente, politicamente e socialmente più deboli e s'apprestano a continuare. Per questo, chiedono governi che non abbiano da dipendere dai parlamenti e, ove sia il caso, dispongano di strumenti per mettere i parlamenti, rappresentativi dei cittadini, nelle condizioni di non nuocere.
Seguiamo questa concatenazione: la Costituzione è espressione della sovranità; se manca la sovranità, non c'è costituzione. La Costituzione e il Diritto costituzionale, con la sedicente riforma costituzionale, s'avviano a mantenere il nome, ma a perdere la cosa. L'impegno per il No al referendum ha, nel profondo, questo significato: opporsi alla perdita della nostra sovranità, difendere la nostra libertà. Post scriptum: C'è poi ancora un altro argomento che, per la sua stupidità, abbiamo esitato a inserire nella lista di quelli meritevoli d'essere presi in considerazione. È già stato usato ed è destinato a essere ripetuto in misura proporzionale alla sua insensatezza. Per questo, non lo ignoriamo semplicemente, come forse meriterebbe, ma lo collochiamo alla fine, a parte.

15. Diranno: sarà divertente vedere dalla stessa parte un Brunetta e uno Zagrebelsky
Noi diciamo: non fate torto alla vostra intelligenza. Come non capire che si può essere in disaccordo, anche in disaccordo profondo, sulle politiche d'ogni giorno, ma concordare sulle regole costituzionali che devono garantire il corretto confronto tra le posizioni, cioè sulla democrazia? In verità, chi pensa di vedere in questa concordanza un motivo di divertimento, e non una seria ragione per dubitare circa il valore dei cambiamenti costituzionali in atto, non fa che confessare candidamente un suo retro-pensiero. Questo: che tra una Costituzione e una legge qualunque non c'è nessuna differenza essenziale; che, quindi, se sei in disaccordo politico con qualcuno, non puoi essere in accordo costituzionale con lui, perché tutto è politica e nulla è costituzione. A noi, questo, non sembra un modo di pensare rassicurante.


Fonte



Addendum:

Come già altre volte nella storia non l'abbiamo voluta noi, non l'ha voluta il popolo, questa guerra.
Ci hanno arruolati senza chiederci permesso e consenso, e ci hanno spediti in linea a farci macellare nel nome degli interessi di lorsignori, ma adesso, ci piaccia o meno, la Repubblica è sulla linea del Piave.
Su questa linea bisogna resistere e deve essere chiaro che la linea è QUESTA, il giorno dopo faremo i conti con lorsignori.





lunedì 7 marzo 2016

Arrivederci Saro, per il poco che conta non ti ho dimenticato.

Per introdurre la lettura di questo post di natura strettamente personalistica devo prima aggiungere un idoneo sottofondo musicale.

Ora ci siamo; fate partire la musica e vi posso raccontare una storia che parla di un alunno di una ventina di anni fa, che aveva ancora tutti i capelli, e di un professore di Storia e Filosofia.

Rosario Galante, Saro per chiunque fosse con lui minimamente in confidenza, fu il mio professore di Storia e Filosofia del quarto e quindi anno, al Liceo Scientifico Statale Giuseppe Novello di Codogno.

Saro è stata una delle persone più importanti con le quali abbia avuto a che fare nella mia vita, se oggi a 38 anni da poco compiuti, faccio un bilancio provvisorio della mia esistenza.
Molto di ciò che sono lo devo a lui, a quello che mi ha trasmesso - soprattutto fuori da scuola - e anche alle scomode domande con le quali mi ha imposto di confrontarmi, riuscendo a farlo in modo che tutto sembrasse fuori che una imposizione.

Era un bravissimo professore, purtroppo danneggiato nelle sconfinate potenzialità intellettuali da caratteristiche emotive tra le quali emergeva una timidezza al limite del patologico, credo, da cui anche la balbuzie piuttosto pronunciata.
Quando lavori con la parola - insegnare storia e filosofia questo è - e non ti è facile parlare...
Però aveva una testa affilata come un rasoio, e sarà in parte per la lucidità non comune e in parte perché in una vita si finisce sempre per fare di necessità virtù se si ha l'intelligenza per valorizzarsi, ma il suo bisogno di centellinare i vocaboli pronunciati si traduceva nel fatto che, veramente, ogni parola che pronunciava era soppesata e densa di contenuti, pesante come un macigno.
Se per Gramsci le parole sono pietre, per il prof. Galante ogni parola era un'incudine.
E nonostante questo sapeva anche essere allegro, sapeva infondere allegria, e se lo prendevi per il verso giusto dimostrando curiosità per quel che aveva da dire, sapeva unire una non comune capacità di ascolto con un'ironia che ti lasciava col sorriso sulle labbra anche quando ti stroncava.
Del resto aveva la grandezza d'animo di chi tante volte era capace di stroncare anche sé stesso, e lo faceva senza alcuna autocommiserazione o pietismo, quasi con freddo distacco.
Criticare gli altri, son buoni tutti. Criticare gli altri inquadrandolo in una più ampia critica a sé stessi, ne son capaci solo le persone che hanno uno spirito fuori dal comune.

La nostra era una bella classe.
La rimpiango.
Eravamo degli efferati casinisti, ma si era creato un bel gruppo.
Delle materia umanistiche ce ne fregava poco e ci piaceva il casino, ma era ugualmente una classe di grandi potenzialità ( in ambito scientifico in parecchi hanno raggiunto risultati e professioni notevoli ).
Insomma, casinisti di talento, ragazzi divertenti e che si divertivano, in un piccolo paese di campagna e provincia, ma con il retroterra di una intelligenza media e di una prontezza di spirito che in poche classi si trova.
Un po' il limite della classe piuttosto disinteressata alle discipline umanistiche e un po' i suoi limiti verbali, facevano si che le sue lezioni fossero un po' incasinate, ma quel poco che si quagliava veramente ha lasciato traccia e, credo, non soltanto in me.
Perché quando ho potuto parlarne con ex compagni tutti quanti lo ricordano con stima.

Io ero uno di quelli che a lezione se lo cagava di più, nonostante la mia refrattarietà per il pensiero astratto si traducesse in un supremo disinteresse per la filosofia.
Ma per la storia ho sempre avuto una passione vera e sincera.
E così in quinta posso dire di non essere mai stato interrogato; facevamo delle chiacchierate su fatti storici scambiandoci opinioni, in classe e fuori.
Questo mi valse un 8 in storia, e al traino un 7 in filosofia ( il primo meritato e il secondo del tutto forfetario ) coi quali mi presentati all'Esame di Maturità.

Dopo diplomati non ci perdemmo completamente di vista. Vivevamo a una trentina di km di distanza ma ci siamo tenuti in contatto per non meno di un lustro e tante vole mi è capito che con la mia cinquecentina ereditata da mio nonno facessi la strada tra Lodi Vecchio e Miradolo Terme, per andarmi a bere una pinta o una bottiglia di bonarda col prof, passando un venerdì o un sabato sera a chiacchierare delle cose più disparata fino quasi al mattino successivo.
Varie volte veniva con me anche quello che ai tempi era il mio amico per la pelle, Vlad ( al secolo A.B. se mi leggi ti riconoscerai ).
C'era per una differenza; per lui come anche per me, c'era per Saro una grande simpatia.
Per me però c'era anche un comune sentire culturale, ideologico, e varie passioni in comune.

Eh si, perché Saro anche questo è stato, un Comunista con la C maiuscola.
Tante volte abbiamo chiacchierato e commentato libri, tra un bicchiere di vino e una fetta di melone freddo di frigo.
Marx, Gramsci,  Lukács, del quale tenevi una foto appesa in sala di fronte all'enorme libreria stipata di libri. Con quest'ultimo in realtà non hai avuto gran successo, almeno con me.
E invece chissà, forse avevi ragione.
Magari avresti avuto più successo con Althusser, ma ormai è tardi per saperlo, e mi tocca arrabattarmi da solo senza più un maestro che mi faccia da guida.

Saro aveva avuto una vita piuttosto singolare, che aveva plasmato il suo modo di rapportarsi al mondo.
Per formazione era un epistemologo.
Ciò dipendeva dal fatto che la sua prima passione era stata la Fisica, lui diplomato allo scientifico e non al classico.
Del '51 e quindi diplomato nel '69-'70, anni caldi, decise di cambiare area e da Palermo si iscrisse a Fisica, Università Statale di Milano, città studi in via Celoria.
Dovendosi però mentenere da solo, nel giro di un anno si rese conto che con tutte quelle ore di laboratorio e le frequenze obbligatorie oltre che gli esami da preparare non solo studiando e rimeditando il testo ma anche svolgendo montagne di esercitazioni, gli sarebbe risultato impossibile laurearsi lavorando.
Non era un lavoretto qualsiasi il suo: turni notturni alla Falck a Sesto san Giovanni, operaio metallurgico, in anni in cui la classe operaia aveva veramente due coglioni di acciaio inox temprato.
Lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori venne, infatti, approvato in parlamento un anno dopo che Saro arrivò a Milano e entrò all'Università e in fabbrica.
"Al figlio del padrone, quando gli passavamo davanti, gli sputavamo sulle scarpe e eravamo forti perché lo facevamo tutti insieme".
Lezione inestimabile Saro; oggi siamo all'angolo perché non lo facciamo più tutti insieme, e quindi se qualcuno osa da solo si taglia le gambe con le proprie stesse mani.
Nel '69 invece sputavate tutti insieme e nel '70 arrivavano risultati concreti.

In seguito, una volta laureato, Saro ha fatto tante altre cose interessanti nella propria vita.
Col suo primo amore per le scienze dure e una formazione ormai completa da epistemologo, congiunta all'aver imparato il tedesco sul serio perché da buon marxista e studioso di filosofia nel senso più ampio, i "sacri testi" se li era infine studiati in lingua originale, era finito in Germania a lavorare come sceneggiatore di documentari scientifici.
In questo modo univa tre passioni: la scienza, l'epistemologia e il cinema, altra cosa di cui spesso parlavamo avendo entrambi una passione smodata per gli autori della Neue Welle tedesca degli anni '70 ( Herzog, von Trotta, Wenders,
Schlöndorff, Fassbinder, Reitz.... ) e nel frattempo imparò a cavarsela anche col tedesco parlato.
Tornato in Italia si occupò per breve tempo della stessa cosa.
Avrebbe potuto farci i soldi, aveva anche dei contatti personali ( sui quali non mi dilungo perché si va nella confidenza privata ) nel giro della allora nascente TV commerciale, ma antiliberista prima che l'antiberlusconismo diventasse il cliché di una sinistra con ormai più niente da dire, invece che fare i soldi nel dietro le quinte della TV optò per l'insegnamento nei licei.

Dopo averlo perso di vista per qualche tempo lo ricercai pochi anni fa, mi pare nel 2010.
Volevo tanto risalutarlo, rifarmi qualche chiacchiera sul mondo, approfondire questioni filosofiche e politiche e magari chiedergli se tra una chiacchierata e l'altra avesse voglia di darmi qualche lezione di tedesco, ma avevo perso il numero di telefono.
Cercai di risalire a lui tramite la scuola e facendolo, mentre cercavo un indirizzo email al quale scrivergli sul sito del nostro vecchio liceo....scoprii che la biblioteca di istituto era stata intitolata a suo nome.
Non si intitolano biblioteche a nome dei vivi, di solito.

Mi sentii una merda, un figlio reietto in un certo senso.
Perdonami.
Non avevi molte persone a questo mondo, avrei dovuto esserci, e invece quanto ho saputo che un male fulminante ti ha portato via in poco tempo, era già troppo tardi.


Una cosa, nelle nostre discussioni sulla cultura in generale e la scuola italiana in particolare, Saro mi aveva detto e solo a distanza di anni ne capisco veramente il senso.
Vedesti giusto.
Saro, vecchio studente di Fisica passato a quel ramo della Filosofia che più da vicino indaga come funzionino le scienze dure, diceva sempre che col suo vecchio collettivo studentesco di aspiranti epistemologi aveva chiesto al consiglio facoltà di introdurre nel corso di laurea anche un esame di analisi matematica e uno di storia della scienza.
Aggiungeva, poi, che anche i corsi scientifici e di ingegneria avrebbero dovuto includere un omologo esame di storia della scienza e uno di epistemologia.
La sua idea era che una cosa simile fosse necessaria a correggere un vizio di fondo dell'istruzione in Italia, e una reazione speculare e opposta al vizio di fondo.
Diceva che la vecchia riforma Gentile della scuola italiana aveva, nonostante venisse da fascismo, lasciato al paese un liceo che era veramente di eccellenza ma che aveva un grave limite: aveva concorso a creare l'idea che "cultura" fosse soltanto ciò che era umanistico e non scientifico.
Questo errore di impostazione aveva procurato una crisi da rigetto in senso opposto nel mondo dello studio delle scienze dure: ingiustamente escluse dall'esser, le scienze, considerate mondo della cultura, nell'ambito delle scienze dure permaneva con malcelato orgoglio un approccio positivista completamente fuori tempo massimo, che produceva ( e purtroppo produce ancora ) scienziati e ingegneri non solo completamente disabituati a porse domande di senso su ciò che erano in grado di fare e le ripercussioni sociali potenziali di quel che avevano appreso, ma orgogliosi di essere refrattari al "perder tempo" ponendosi simili domande.

Un altro suo contributo fondamentale collegato alla sua formazione fu il fatto che in quinta, invece che sfrancicarci i coglioni con cose francamente poco utili ( chissel'incula Kierkegaard? ) ci fece leggere Thomas Kuhn, e poi passammo un mese a discuterne.
Non solo fu interessante per imparare a porsi domande sul senso del concetto di progresso, se umanità e scienza progrediscono secondo un percorso lineare e cosa veramente sia il progresso, ma fu anche concretamente utile perchè quell'anno uscì un tema sulla storia dell'evoluzione del pensiero scientifico, e quindi lo scritto di italiano alla Maturità risultò una passeggiata.
Per questo un altro insegnante, che ha sfiorato questi temi qui, mi ha fatto tornare in mente tante altre vecchie discussioni col mio vecchio insegnante.

Estensivamente possiamo dire che qualcosa di simile è capitato anche nelle Facoltà di Economia, dove una ritirata ideologica a fine anni '70 ha fatto si che ad oggi, di fronte al ri-fallimento del liberismo ( il primo fu nel 1929 ), questa ideologia che rappresenta gli interessi dominanti, e già fallita nei riscontri empirici, non abbia letteralmente fatto una piega e la si studi in regime di pensiero unico avendo completamente rimosso ciò che discende da Marx e pure quanto discenda da Keynes.
Questa "occupazione accademica" del pensiero unico è stata più volte denunciata dal prof. Bruno Amoroso, che ha varie volte raccontato delle "call girl" prezzolate del giornalismo e dell'accademia.

Ci ho messo anni a capirlo, quanto avessi ragione, caro prof.
Certe cose me le spiegasti almeno 15 anni prima che qualcun'altro scrivesse:
<Il mio parere è che lei è solo una persona imbevuta di stereotipi. Non è un male, per carità. Anzi! Proprio quello che l'Europa vuole: costruire una generazione di persone dotate di "saperi" tecnici e privi però di cultura. Persone manipolabili perché hanno letto il Dornbusch-Fischer (o quello che ha letto lei), ma non hanno letto Delitto e castigo. Persone non particolarmente umane, ma funzionali al mantenimento di certe logiche di potere. Anche e soprattutto quando pensano di lottare.>Tu però, Saro, avevi un'altra qualità.
Insegnavi veramente perché non stavi in cattedra, e avevi una coerenza nella vita che mi ha insegnato qualcosa di importante.
Per il poco che conta non ti ho dimenticato.

Le basi, santo cielo....


Mi è recentemente capitato di partecipare a una assemblea che avrebbe dovuto servire per verificare la possibilità di costituire un comitato di zona, facente riferimento al Coordinamento Democrazia Costituzionale, per organizzare la propaganda per il NO al referendum sulla riforma costituzionale, che si terrà tra ottobre e novembre.

Giro di presentazioni.
Ho avuto l'imperdonabile ardire di affermare che secondo me questa riforma costituzionale, intensamente voluta da PD ( nonononononono, il referendum non va inteso come anti PD, mi hanno immediatamente bacchettato! ), non può essere considerata come una svolta verso una brutta forma di presidenzialismo senza contrappesi, ma come una secca svolta verso il bonapartismo, ragion per cui la "riforma" e chi la porta avanti va combattuta strenuamente anche per motivo di insindacabile antifascismo ( gelo.....se la riforma è parafascista, lo è anche chi la sostiene, ma come già detto non bisogna assumere tagli apertamente antipiddini ).

A quel punto ho insistito, sottolineando che un simile bonapartismo è indispensabile alle classi e agli interessi dominanti in questa fase storica e economica, in modo di avere un governo che prescindendo da qualsiasi consenso popolare, possa prendere decisioni rapide per assecondare i desiderata dei mercati ( citando di chiarazione di J.P. Morgan di quasi 3 anni fa, che suggeriva di liberarsi delle costituzioni antifasciste e parasocialiste ), e che questi mercati hanno un preciso rappresentante istituzionale che si chiama Unione Europea.
Quindi ho concluso affermando che il referendum per il NO è una linea del Piave, per non permettere a Renzi e al PD di introdurre il bonapartismo e insieme anche per rivendicare la sovranità democratica del nostro Paese rispetto all'Unione Europea, dato che questa riforma non è altro che un adeguamento nei principi della nostra Carta Costituzionale ai principi fondativi della UE.

A quel punto mi sento rispondere da della gente dell'Anpi: <sentiamo che c'è molto "sovranismo" in questa sala.....>
E via con le allusioni sul fatto che ciò equivarrebbe a fascismo automaticamente....

Faccio a quel punto notare alla rappresentante territoriale dell'Anpi: <guarda cara che la rivendicazione della sovranità non è affatto in sé una cosa di destra, se un movimento è fascista lo capisci se ha un taglio sciovinista in politica estera e se ha una concezione organicista e corporativista della società, in altre parole per i fascisti non esiste la lotta di classe.>

Risposta: "ma che c'entra". [ le virgolette perché, purtroppo, la risposta è testuale....]
Esatto, che c'entrano col fascismo l'organicismo e il corporativismo?

Questo è il livello di chi, per parare il culo al PD, si tira in realtà indietro da una battaglia di antifascismo e contemporaneamente pretende di farti le analisi del sangue.

Ci sono  funzionari Anpi che non sanno tecnicamente cosa sia il fascismo.
In che mani siamo!