Voglio oggi riportare un importante articolo del prof. Gustavo Zagrebelsky, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, che con grande linearità logica, consequenzialità e precisione enumera le ragioni per votare NO al referendum sulle modifiche costituzionali.
Voglio inoltre segnalare che questo articolo, riportato in ampi stralci il giorno 6 Marzo su Il Fatto Quotidiano, nei propri punti 2 e 14 mette, tra le altre cose, in ampia evidenza come l'Europa e la spoliazione di sovranità abbiano molto a che spartire con questa "riforma", e che anche per questo occorre votare NO.
Con amarezza sottolineo ancora una volta come ciò che dice nientemeno che Gustavo Zagrebelsky, trovi orecchie sorde nei burattini dei partiti - sedicenti di sinistra - che appoggiano il referendum molto timidamente essendo tutti preoccupati a che la propaganda per il NO non assuma tagli apertamente antipiddini ( menchemeno antieuropeisti e sovranisti ).
Infatti mi è capitata assemblea nei giorni immediatamente precedenti all'uscita di questo articolo nella quale militanti di 3 diverse associazioni sovraniste, democratiche, e di sinistra, hanno avanzato le stesse identiche tematiche proposte dal professore, e la reazione dei burattini di partito è stata di immediata e scandalizzata chiusura.
Anche per questo mi rivolgo a tutti i miei compatrioti e compatriote, democratici e socialisti: diamoci dentro e buttiamoci anima e corpo nella costituzione di comitati locali, perché al di la della retorica che equivale solo ad una caccia di visibilità, i partiti, questo referendum, mirano a perderlo perchè col PD devono continuare a negoziare assessorati.
1. Diranno che "gli italiani" aspettano queste riforme da vent'anni (o trenta, o anche settanta, secondo l'estro)
Noi diciamo che da quando è stata approvata la Costituzione
- democrazia e lavoro - c'è chi non l'ha mai accettata e, non avendola
accettata, ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla per
imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria, ricorda i nomi Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, Giovanni Di Lorenzo, Junio Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella corrente antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua presenza nella politica italiana.
A costoro devono affiancarsi, senza confonderli, coloro che negli anni
hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il baricentro a favore del governo o del leader: commissioni bicamerali varie, "saggi" di Lorenzago,
"saggi" del presidente, eccetera. È vero: vi sono tanti che da tanti
anni aspettano e pensano che questa sia finalmente "la volta buona". Ma
questi non sono certo "gli italiani", i quali del resto, nella maggioranza che si è espressa nel referendum di dieci anni fa, hanno respinto col referendum un analogo tentativo, il tentativo che, più di tutti gli altri sembrava vicino al raggiungimento dello scopo. A coloro che vogliono parlare "per gli italiani", diciamo: parlate per voi.
2. Diranno che "ce lo chiede l'Europa"
(.) Diteci che cosa rappresenta l'Europa di oggi se non principalmente il tentativo di garantire equilibri economico-finanziari del Continente per venire incontro alla "fiducia degli investitori" e a proteggerli dalle scosse che vengono dal mercato mondiale. A questo fine, l'Europa ha bisogno d'istituzioni statali che eseguano con disciplina i Diktat
ch'essa emana, come quello indirizzato il 5 agosto 2011 al "caro primo
ministro", contenente un vero e proprio programma di governo
ultra-liberista, in materia economico-sociale, associato all'invito di
darsi istituzioni decidenti per eseguirlo in conformità. Dite: "Ce lo chiede l'Europa" e tacete della famosa lettera Draghi-Trichet, parallela ad analoghi documenti provenienti da "analisti" di banche d'affari internazionali, che chiede riforme istituzionali
limitative degli spazi di partecipazione democratica, esecutivi forti e
parlamenti deboli, in perfetta consonanza con ciò che significano le
"riforme" in corso nel nostro Paese. (.) A chi dice: ce lo chiede
l'Europa, poniamo a nostra volta la domanda: qual è l'Europa alla quale volete dare risposte?
3. Diranno che le riforme servono alla "governabilità"
(..) "Governabile" è chi si lascia docilmente governare e chiediamo: chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra "governo", non governabilità, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza, la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote, altra faccia della rassegnazione, e dell'abulia: materia passiva,
irresponsabile e facile alla manipolazione. Questa è la governabilità. A
chi dice "governabilità" noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico.
4. Diranno: ma la riforma è pur stata approvata dal Parlamento, l'organo della democrazia
Ma noi diciamo: quale Parlamento? Il Parlamento
illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata
incostituzionale, per l'appunto, per essere antidemocratica (deputati e
senatori nominati e non eletti; premio di maggioranza abnorme che ha
scollato gli eletti dagli elettori). La Corte costituzionale ha bollato quell'elezione come una specie di golpe elettorale, per avere "rotto il rapporto di rappresentanza" (testuale). È vero che la Corte aggiunse che, per l'esigenza di continuità costituzionale, le Camere così elette non sarebbero decadute immediatamente.
Ma è chiaro a tutti coloro che hanno ancora un'idea seppur minima di democrazia che da quella sentenza si sarebbe dovuto procedere tempestivamente, per mezzo d'una nuova legge elettorale conforme alla Costituzione,
a nuove elezioni, per ristabilire il rapporto di rappresentanza. (.) È
vero che, scandalosamente, anche da parte delle più alte autorità della Repubblica, dell'informazione e da parte di non poca "dottrina" costituzionalistica, si fa finta che non esista una questione di legittimità che getta un'ombra su tutta questa vicenda, tanto più in quanto, se non vi fosse stato l'incostituzionale premio di maggioranza, sarebbero mancati i numeri necessari per portarla a compimento. (.)
5. Parleranno di atto
d'orgoglio politico dei parlamentari, finalmente capaci di
"autoriformarsi" senza guardare al proprio interesse
Noi parliamo, piuttosto, d'arroganza dell'esecutivo.
Queste riforme sono state avviate dall'esecutivo con l'impulso di quello
che, per debolezza e compiacenza, è potuto essere per diversi anni il
vero capo dell'esecutivo, il presidente della Repubblica; sono state recepite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all'approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari, caducazione di emendamenti), di trasformismo parlamentare (passaggi dall'opposizione alla maggioranza in cambio di favori e posti) fino ai voti di fiducia, come se la Costituzione
e le istituzioni fossero materia appartenente al governo, fino a
raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta addirittura agli
elettori, sull'approvazione referendaria della riforma
(o me o la riforma, sempre che voglia prendere sul serio un simile
proclama da parte di uno che non eccede in coerenza ed eccede invece in
spregiudicatezza). Questo non è il primato della politica, ma delle minacce e degli allettamenti. Se volete parlare di politica, noi diciamo: sì, ma sapendo che è mala politica.
6. S'inorgogliranno chiamandosi "governo costituente"
Noi diciamo che il "governo costituente", in democrazia, è un'espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos
e dei colonnelli sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno
la propria costituzione: costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza
ma come strumento, armatura del proprio potere. Il popolo e la sua
rappresentanza, in democrazia, possono essere "costituenti". I governi,
poiché sono espressione non di tutta la politica, ma solo d'una parte,
devono stare sotto la Costituzione, non sopra come
credono invece di stare d'essere i nostri riformatori che si fanno forti
dello slogan "abbiamo i numeri", come se avere i numeri, comunque racimolati, equivalga all'autorizzazione a fare quel che si vuole. (.)
7. Diranno che l'iniziativa
del governo nelle faccende costituzionali non ha nulla d'anormale e,
quelli che sanno, porteranno l'esempio della Francia, del generale De
Gaulle e della sua riforma costituzionale del 1962.
Noi ci limitiamo a porre queste domande: credete davvero d'essere dei nuovi De Gaulle, il capo della Resistenza repubblicana che sbarca in Normandia al momento della liberazione? E di poter paragonare l'Italia di oggi alla Francia d'allora? La riforma francese aveva alla sua base le idee costituzionali enunciate "disinteressatamente" nel 1946 a Bayeux, guardando lontano e radicandosi nel passato della storia della Repubblica francese.
Noi abbiamo invece testi raffazzonati all'ultima ora, la cui
approvazione si è resa possibile per equivoci compromessi concettuali e
lessicali, proprio sul punto centrale della riforma del Senato. (.)
8. Diranno che, anche ad
ammettere che la riforma abbia avuto una genesi non democratica e un
iter parlamentare telecomandato nei tempi e nei contenuti, alla fine la
democrazia trionferà nel referendum confermativo.
Noi diciamo che la riforma forse sottoposta al giudizio degli elettori porta il segno della sua origine tecnocratica unilaterale e che il referendum richiesto dallo stesso governo che l'ha voluta lo trasformerà in un plebiscito. Non si tratterà di un giudizio su una Costituzione destinata a valere negli anni, ma di un voto su un governo temporaneamente in carica. (.) Avremo una campagna referendaria in cui il governo avrà una presenza battente, come se si trattasse d'una qualunque campagna elettorale a favore di una parte politica, e farà valere il "plusvalore" che assiste sempre coloro che dispongono del potere, complice anche un'informazione ormai quasi completamente allineata.
9. Diranno che non c'è da fare
tante storie, perché, in fondo si tratta d'una riforma essenzialmente
tecnica, rivolta a razionalizzare i percorsi decisionali e a renderli
più spediti ed efficienti
Noi diciamo: altro che tecnica! È la razionalizzazione d'una trasformazione essenzialmente incostituzionale, che rovescia la piramide democratica.
Le decisioni politiche, da tempo, si elaborano dall'alto, in sedi
riservate e poco trasparenti, e vengono imposte per linee discendenti
sui cittadini e sul Parlamento, considerato un
intralcio e perciò umiliato in tutte le occasioni che contano. La
democrazia partecipativa è stata sostituita da un sistema opposto di
oligarchia riservata. (.) Le "riforme" costituzionali sono in realtà
adeguamenti della Costituzione a questa realtà oligarchica. Poiché siamo per la democrazia, e non per l'oligarchia, siamo contrari a questo adeguamento spacciato come riforma.
10. Diranno che i partiti di
sinistra, già al tempo della Costituente, avevano criticato il
bicameralismo (cuore della riforma) e che perfino Pietro Ingrao, ancora
negli anni 80, si espresse per l'abolizione del Senato
Noi diciamo: andate a leggere i resoconti di quei dibatti e vi renderete conto che si trattava, allora, di semplificare le istituzioni parlamentari per dare più forza alla rappresentanza democratica e fare del Parlamento il centro della vita politica (si parlava di "centralità del Parlamento"). La visione era quella della democrazia partecipativa o, nel linguaggio di Ingrao, della "democrazia di massa". Oggi è tutto il contrario: si tratta di consolidare il primato dell'esecutivo emarginando la rappresentanza, in quanto portatrice di autonome istanze democratiche. (.)
11. Diranno che siamo come i
ciechi conservatori che hanno paura del nuovo, anzi del
"futuro-che-è-oggi", e sono paralizzati dal timore dell' "uomo forte"
Noi diciamo che a noi non interessano "riforme" che riforme non sono, ma sono "consolidazioni" dell'esistente: un esistente che non ci piace affatto perché portatore di disgregazione costituzionale e di latenti istinti autoritari.
Questi istinti non si manifestano necessariamente attraverso l'uso
esplicito della forza da parte di un "uomo forte". Questo accadeva in
altri, più primitivi tempi. Oggi, si tratta piuttosto dell'occupazione
dei posti strategici dell'economia, della politica e della cultura che forma l'ideologia egemonica del momento.
Questo è ciò che sta accadendo manifestamente e solo chi chiude gli
occhi e vuole non vedere, può vivere tranquillo. Si tratta, per portare a
compimento questo disegno, di eliminare o abbassare gli ostacoli (pluralismo
istituzionale, organi di controllo e di garanzia) che frenano il libero
dispiegarsi del potere che si coagula negli organi esecutivi. Non
occorre eliminarli, ma normalizzarli, ugualizzarli, standardizzarli, il
che significa l'opposto del far opera costituente.
12. Diranno che siamo per
l'immobilismo, cioè che difendiamo l'indifendibile: una condizione della
politica che non ha mai toccato un punto così basso in tutta la storia
repubblicana, mentre loro vogliono rianimarla e rinnovarla
Noi opponiamo una classica domanda alla quale i riformatori
costantemente sfuggono: sono più importanti le istituzioni o coloro che
operano nelle istituzioni? La risposta, che sta non solo in venerandi
scritti sulla politica e sulla democrazia - che i nostri riformatori, con tranquilla e beata innocenza mostrano d'ignorare completamente - ma anche nelle lezioni della storia, è la seguente: istituzioni imperfette
possono funzionare soddisfacentemente se sono in mano a una classe
politica degna e consapevole del compito di governo che è loro affidato,
mentre la più perfetta delle costituzioni è destinata a funzionare
malissimo in mano a una classe politica incapace, corrotta, inadeguata. Per questo noi diciamo: non accollate a una Costituzione le colpe che sono vostre. (.)
13. Diranno: non ve ne va
bene una; la vostra è una opposizione preconcetta. Non siete d'accordo
nemmeno sull'abolizione del Cnel e la riduzione dei "costi della
politica"?
Noi diciamo: qualcosa c'è di ovvio, su cui voteremmo pure sì, ma è mescolato, come argomento-specchietto,
per far passare il resto presso un'opinione pubblica orientata
anti-politicamente. A parte il Cnel, che in effetti s'è dimostrato in
questi anni una scatola quasi vuota, la riduzione dei costi della
politica avrebbe potuto essere perseguito in diversi altri modi: riduzione drastica del numero dei deputati,
perfino abolizione pura e semplice del Senato in un contesto di
garanzie ed equilibri costituzionali efficaci. Non è stato così.
Si è voluto poter disporre d'un argomento demagogico
che trova alimento nella lunga tradizione antiparlamentare che ha
sempre alimentato il qualunquismo nostrano. Avere unificato in un unico voto referendario tanti argomenti tanto diversi (forma di governo e autonomie regionali)
è un abile trucco costituzionalmente scorretto, che impedisce di votare
sì su quelle parti della riforma che, prese per sé e in sé,
risultassero eventualmente condivisibili. Voi dite di voler combattere
l'antipolitica, ma proprio voi ne esprimete l'essenza. (.)
14. Diranno: come è possibile
disconoscere il serio lavoro fatto da numerosi esperti, a incominciare
dai "saggi" del presidente della Repubblica, passando per la Commissione
governativa, per le tante audizioni parlamentari di distinti
costituzionalisti, fino ad approdare al Parlamento e al ministro
competente per le riforme costituzionali. Tutto ciò non è per voi
garanzia sufficiente d'un lavoro tecnicamente ben fatto?
(.) Le questioni costituzionali non sono mai solo tecniche. A ogni modifica della collocazione delle competenze e delle procedure corrisponde una diversa allocazione del potere. Nella specie, ciò che si sta realizzando, per l'effetto congiunto della legge elettorale
e della riforma costituzionale, è l'umiliazione del Parlamento elettivo
davanti all'esecutivo; l'esecutivo, un organo che, non essendo
"eletto", potrà derivare dall'iniziativa del presidente della Repubblica che, dall'alto, potrà manovrare - come è avvenuto - per ottenere la fiducia della Camera.
Quanto poi alla bontà del testo di riforma dal punto di vista tecnico, ci limitiamo a questo esempio, la definizione delle competenze legislative da esercitare insieme dalla Camera e dal Senato (sì, il Senato rimane, il bicameralismo
anche e, se la seconda Camera non si arenerà su un binario morto, i
suoi rapporti con la prima Camera daranno luogo a numerosi conflitti):
"La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere
per (sic!) le leggi di revisione della Costituzione e
le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione
delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'art. 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane
e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per
la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della
partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella (?) che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità
con l'ufficio di senatore e di cui all'art. 65, primo comma, e per le
leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114,
terzo comma, 116 terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto
comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma".
Se questo pasticcio è il prodotto dei "tecnici", noi
diciamo che hanno trattato la Costituzione come una legge finanziaria o,
meglio, come un Decreto milleproroghe qualunque: sono infatti formulati
così. Quanto ai contenuti, come possono i "tecnici"
non aver colto le contraddizioni dell'art. 5, noto perché su di esso si è
prodotta una differenziazione nella maggioranza, poi rientrata.
Riguarda la composizione del Senato e non si capisce se i senatori
rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi
consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno
effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali.
Saranno eletti - si scrive - dai Consigli regionali "In conformità alle
scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri". Ma, se
queste scelte saranno vincolanti, non ci sarà elezione ma, al più
ratifica; se non saranno vincolanti, come si può parlare di "conformità".
Un pasticcio dell'ultima ora che darà filo da torcere a che dovrà darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del cerchio.
Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo
d'esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare
che cosa avete voluto. (.) Questi tecnici non hanno dato il meglio di
sé, forse perché hanno dovuto nascondere nell'oscurità l'assenza di chiarezza
che ha regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di
scrivere queste norme. Loro non lo diranno, ma lo diciamo noi. Nella
confusione, una cosa è chiara: l'accentramento a favore dello Stato
a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell'esecutivo a danno
dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare. Orbene, noi
della Costituzione abbiamo un'idea diversa: patto solenne che unisce un
popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in società. "Unisce"? Questa riforma non unisce ma divide. Non è una costituzione, ma una s-costituzione. "Popolo sovrano"?
Dov'è oggi svanita la sovranità, quella sovranità che l'art. 1 della Costituzione
pone nel popolo e che l'art. 11 autorizza bensì a "limitare", ma
precisando le condizioni (la pace e la giustizia tra le Nazioni) e
vietando che sia dismessa e trasferita presso poteri opachi e
irresponsabili? È superfluo ripetere quello che da tutte le parti si
riconosce: per molte ragioni, il popolo sovrano è stato spodestato. Se
manca la sovranità, cioè la libertà di decidere da noi
della nostra libertà, quella che chiamiamo costituzione non più è tale.
Sarà, al più, uno strumento di governo di cui chi è al potere si serve
finché è utile e che si mette da parte quando non serve più. La prassi è
lì a dimostrare che proprio questo è stato l'atteggiamento
sfacciatamente strumentale degli ultimi anni: la Costituzione
non è stata sopra, ma sotto la politica e perciò è stata forzata e
disattesa innumerevoli volte nel silenzio compiacente della politica,
della stampa, della scienza costituzionale. Ora, la riforma non è altro
che la codificazione di questa perdita di sovranità.
Apparentemente, la vicenda che stiamo vivendo è una nostra vicenda. In
realtà, chi la conduce lo fa in nome nostro ma, invero, per conto
d'altri che già hanno fatto il bello e il cattivo tempo nei Paesi
economicamente, politicamente e socialmente più deboli e
s'apprestano a continuare. Per questo, chiedono governi che non abbiano
da dipendere dai parlamenti e, ove sia il caso, dispongano di strumenti
per mettere i parlamenti, rappresentativi dei cittadini, nelle condizioni di non nuocere.
Seguiamo questa concatenazione: la Costituzione è
espressione della sovranità; se manca la sovranità, non c'è
costituzione. La Costituzione e il Diritto costituzionale, con la
sedicente riforma costituzionale, s'avviano a mantenere il nome, ma a
perdere la cosa. L'impegno per il No al referendum ha, nel profondo, questo significato: opporsi alla perdita della nostra sovranità, difendere la nostra libertà. Post scriptum:
C'è poi ancora un altro argomento che, per la sua stupidità, abbiamo
esitato a inserire nella lista di quelli meritevoli d'essere presi in
considerazione. È già stato usato ed è destinato a essere ripetuto in
misura proporzionale alla sua insensatezza. Per questo, non lo ignoriamo
semplicemente, come forse meriterebbe, ma lo collochiamo alla fine, a
parte.
15. Diranno: sarà divertente vedere dalla stessa parte un Brunetta e uno Zagrebelsky
Noi diciamo: non fate torto alla vostra intelligenza.
Come non capire che si può essere in disaccordo, anche in disaccordo
profondo, sulle politiche d'ogni giorno, ma concordare sulle regole
costituzionali che devono garantire il corretto confronto tra le
posizioni, cioè sulla democrazia? In verità, chi pensa
di vedere in questa concordanza un motivo di divertimento, e non una
seria ragione per dubitare circa il valore dei cambiamenti
costituzionali in atto, non fa che confessare candidamente un suo
retro-pensiero. Questo: che tra una Costituzione e una legge qualunque non c'è nessuna differenza essenziale; che, quindi, se sei in disaccordo politico con qualcuno, non puoi essere in accordo costituzionale con lui, perché tutto è politica e nulla è costituzione. A noi, questo, non sembra un modo di pensare rassicurante.
Fonte
Addendum:
Come già altre volte nella storia non l'abbiamo voluta noi, non l'ha voluta il popolo, questa guerra.
Ci hanno arruolati senza chiederci permesso e consenso, e ci hanno spediti in linea a farci macellare nel nome degli interessi di lorsignori, ma adesso, ci piaccia o meno, la Repubblica è sulla linea del Piave.
Su questa linea bisogna resistere e deve essere chiaro che la linea è QUESTA, il giorno dopo faremo i conti con lorsignori.