lunedì 28 novembre 2016

Un NO per cambiare.

Apro con un sentito omaggio a Fidel, in un momento nel quale anche il nostro paese attraversa una fase critica.
Socialismo, Patria o Morte!

Cercherò di articolare un ampio discorso per spiegare le ragioni del mio "NO" al riferendum costituzionale del 4 Dicembre 2016 e per spiegare per quali motivi io ritenga questa scelta un passaggio preliminare per poter costruire una alternativa politica popolare e socialista nel Paese.
Cercherò infine di spiegare il senso profondamente reazionario e le modalità eversive della revisione costituzionale propalataci da Renzi e dal suo partito che sempre più merita la qualifica di canale di scolo della Storia.

Un passaggio preliminare estremamente importante è intendersi su quale sia il reale significato politico di una costituzione.Una costituzione non è banalmente un insieme di articoli e paragrafi che descrivono delle forme istituzionali e delle regole che governano la convivenza degli abitanti di uno specifico paese; una costituzione è uno strumento giuridico attraverso il quale si cristallizzano e trovano una propria materializzazione in forma istituzionale, i rapporti sociali che innervano una data società.
Le costituzioni evolvono perchè i rapporti sociali, i rapporti di produzione, i rapporti di forza tra classi, evolvono.
Non necessariamente in senso progressivo, purtroppo.
In ogni caso la formalizzazione istituzionale segue e codifica ciò che nella società ha avuto luogo, non il contrario.
Quindi un primo argomento della retorica governativa può considerarsi già smontato: un Paese quadrato non diventa rotondo perchè gli si impone una costituzione rotonda.
Non si cambia l'Italia cambiandone la Costituzione; le Costituzioni servono, al contrario, a fotografare l'esistente e a renderlo più o meno reversibile apliando o restringendo gli spazi di partecipazione, autorappresentazione e autodeterminazione delle classi sociali, specialmente quelle subalterne che hanno un ovvio ed immediato motivo per aspirare al cambiamento.
Possono perciò avvenire due tipi di riforme ( o rivoluzioni ) che si riverberano sulle forme istituzionali mutandole: quelle dal basso, alimentate dalla rivolta degli esclusi e dei subalterni che conquistano maggior potere e quelle dall'alto, le rivoluzioni passive, alimentate dai ceti e dalle classi dominanti e finalizzate a rendere più difficilmente reversibili i rapporti di subordinazione che si sono instaurati ai danni degli sfruttati.
Dato che in questa circostanza non era il popolo in piazza a invocare una nuova costituente ma è stato un governo in carica a cercare di imporre la propria nuova costituzione, è chiaro che il NO popolare serve a cambiare e il SI governativo serve a cambiar tutto affinchè nulla cambi.
Nella Storia troviamo sistematico riscontro di tale tipo di dinamica istituzionale che segue alle dinamiche sociali nel fatto che ogni fase rivoluzionaria si conclude, normalmente, con una fase costituente: un ordine sociale prende il posto di un altro ordine che è stato superato, si è esaurito o è stato abbattuto.
Così è sempre stato dalla Rivoluzione Americana del 1776 e dalla successiva fase costituente del 1787-1789 e in ambito europeo dalla Risoluzione Francese iniziata nel 1789 e coronata dalla fase costituente del 1793-1795.
L'Italia e i paesi europei nel proprio insieme non sono stati da meno.
Il secondo dopoguerra non ha avuto il senso di una rivoluzione come in Russia nel 1917 ma ha avuto portata forse ancor più vasta ed effetti paragonabili; la fine della più grande catastrofe nella storia dell'uomo ha abrogato nella maggior parte dei paesi europei l'ordine costituito precedente la guerra e ha portato ad una fase costituente, che ha visto nascere le democrazie parlamentari cui siamo abituati. Costruite su un impianto concettuale di natura kelseniana, cioè sul principio delle decisione il più possibile condivise e su un principio di ampia rappresentatività dei vari strati popolari e delle classi sociali nelle istituzioni, esse hanno anche un impianto fortemente garantista rispetto alla prospettiva di una nuova concentrazione di poteri, non prevedono la possibilità di sospendere le garanzie democratiche e costituzionali neanche in casi di eccezione istituendo la legge marziale, eccetera.
Spesso, inoltre, recepiscono elementi di eguaglianza sostanziale ed impegnano i vari paesi a perseguire proattivamente questi stessi obiettivi, a costo di porre con vigore costituzionale un limite alle libertà negative ( le libertà economiche ) proprio allo scopo di rendere concretamente esigibili una serie di libertà positive fondate su principio di eguaglianza che lo Stato è proattivamente impegnato a realizzare.
In questo senso la Costituzione della Repubblica Italiana è probabilmente la Costituzione più avanzata in assoluto e proprio questi principi sono quegli elementi di socialismo di cui le costituzioni nate nel dopoguerra sono intrise, stigmatizzati dal famoso report stilato dalla banca d'affati JP Morgan al fine di suggerire ai governi europei le riforme necessarie per normalizzare le proprie istituzioni e la vita sociale alle durezze del vivere proprie della globalizzazione capitalistica e segnatamente al fine di rendere sostenibile l'eurozona ( l'ammissione implicita è che, a costituzioni democratiche e socialisteggianti in vigore, essa sostenibile non è. E acquisito il dato, specialmente a sinistra, mettiamo la parola fine a questa questione ).
Dato che le democrazie europee ( vicenda della crisi Greca, difficoltà nell'elezione di un nuovo governo in Portogallo, elezioni andate a vuoto, ripetute e difficoltà a formare un governo in Spagna, Loi Travail in Francia approvata bypassando il parlamento con milioni di lavoratori in piazza, Brexit, etc. ) stanno collassando una ad una in contemporanea, evidentemente il problema sotteso è comune e la vicenda della riforma costituzionale in Italia si pone nel solco di una crisi politica che ha portata almeno continentale.
Stanno venendo al pettine i nodi politici della globalizzazione e della a-democraticità del modello delle multilevel governance sul quale è costruita la UE, che della globalizzazione capitalistica è epifenomeno regionale.
Il trilemma di Rodrik è la grande questione politica di questa fase storica che andrebbe risolta.
Rodrik suggerisce: Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro assetti sociali, e quando tale diritto entra in conflitto con le esigenze dell'economia globale, è quest'ultima che deve cedere il passo.Questa idea fonda sull'analisi delle scelte che può compiere un paese normalmente sovrano e, auspicabilmente, democratico.
Purtroppo però all'interno dell'Unione Europea esistono vincoli molto pesanti all'effettiva sovranità degli stati e il risultato è che le classi dominanti stanno imponendoci una soluzione particolamente restrittiva del trilemma: nella formulazione originale si possono avere solo due prerogative contemporeamente su 3 ( la scelta è tra democrazia, sovranità degli stati, integrazione dei mercati ), in Europa ci stanno invece imponendo di rinunciare sia alla democrazia sostanziale, lasciando in piedi solo un vuoto simulacro di quella formale, sia alla sovranità degli stati pur di salvare l'integrazione dei mercati.
La costituzione renziana si pone in questo solco e tanto basterebbe a respingerla, semplicemente avendo chiara in mente quale sia la posta in gioco.

Nel merito un corno; cioè perchè la democrazia e la costituzione sostanziali sono cose troppo importanti per lasciare difendere dai soli costituzionalisti e perchè non si deve lasciare al governo la scelta su quale debba essere il terreno di scontro dialettico e politico.Un referendum constituzionale, a maggior ragione se nato in circostanze eccezionali e gravi provocando profonde spaccature, non è mai un esame di diritto pubblico o costituzionale ma è un passaggio storico-politico che deve essere valutato nel proprio insieme e sul quale le persone voteranno esprimendo un giudizio sintetico-generale che contiene un giusto e sacrosanto giudizio di merito anche sul governo che ha di fronte.
Il testo non è quindi né valutabile né disgiungibile dal contesto - storico e sociale - nel quale si cala e dal modo col quale si presenta alla cittadinanza.
Siccome inoltre stiamo parlando di una contesa politica cruciale, accettare l'invito dell'avversario a stare nel merito significa accettare di lasciarsi trasportare su quel terreno sul quale sanno di avere già vinto, non perchè gli argomenti tecnici siano più solidi ma parchè focalizzandosi su ristrette questioni tecniche si perde di vista il significato politico generale, che è proprio ciò che vogliono nascondere dietro la cortina fumogena dei tecnicismi e che è il terreno sul quale possono perdere.
Per noi, quindi, il merito deve essere il significato politico generale.E' il governo che ha bisogno di un nulla osta alla propria riforma: si assumano loro la briga di andare a spiegare agli esodati e ai precari voucherizzati da questo stesso governo, che stanno facendo una vita grama per colpa del bicameralismo perfetto!
Vedremo quanto riusciranno a risultare credibili; in ogni caso non ha senso che gli semplifichiamo noi la vita inseguendoli su terreni di contesa fuorvianti.
Inoltre, come ha giustamente segnalato Stefano G. Azzarà:
<Nel merito un corno
Chi ti chiede di "entrare nel merito" di una proposta costituzionale fatta in maniera unilaterale e ispirata a una concezione maggioritaria del potere ti trascina sul suo terreno e pian piano ti porta a considerare normale e degno di dibattito persino il ripristino delle forme istituzionali liberali predemocratiche.
"Sai caro, vorrei reintrodurre alcuni elementi di schiavitù, ma entriamo nel merito come persone educate e senza demonizzare, altrimenti vuol dire che siete prevenuti e volete personalizzare la questione".
Non è così che funziona in politica, dove ci si posiziona anzitutto attorno a un conflitto cruciale mentre tutto il resto è secondario.
E nello specifico ciò che unicamente è qui in discussione è il grado di faccia di culo di questi banditi e l urgente opportunità di sostituirli con chiunque, anche con il primo che passa per strada. Soprattutto se costui è anche un pelino meno arrogante e promette di farci divertire di più.
In sostanza respingete questa trappola a meno che non sia utile a convincere qualche povero di spirito innamorato dei formalismi. E non state a perdere tempo in chiacchiere, perche l argomento da usare è uno e uno solo: Renzi merda, votate No.
E alla fine non sentitevi in colpa, perché anche quegli altri, nonostante facciano i professorini, agiranno esattamente secondo questa logica.
Che poi è l'unica logica che rimane alla politica ogni volta che i passaggi della storia ci mettono di fronte al riaffiorare periodico dello stato di natura.>

Una riforma di destra, praticamente reazionaria.
Senza addentrarci in diatribe epistemologiche troppo approfondite e in sottili distinzioni tra i vari modi per essere di sinistra, possiamo sinteticamente esprimere cosa significhi essere di sinistra nel senso nobile del termine, ovvero quel senso che è stato ignomignosiamente ucciso se facciamo riferimento alla topologia parlamentare.
Sinistra è:
1) Unire e organizzare i soggetti deboli, sfruttati, esclusi e muniti di minor poter contrattuale rispetto a chi dispone di maggiori capitali, facendo valere in forma organizzata l'unico potere che essi possono far valere e cioè quello di essere più numerosi.
2) Ampliare le basi di rappresentanza e rappresentantività, rendendole più orizzontali e ampliando le base di condivisione delle scelte, dato che tanto più grandi e ampie esse saranno tanto più sarà possibile per i subalterni accedere alla rappresentanza stessa dei propri interessi e farsi valere. Il processo inverso, il restringimento della base di rappresentanza e la verticalizzazione dei processi decisionali, favorisce i pochi in partenza più potenti.
3) Rendere più diretto il vincolo tra rappresentanti e rappresentanti, perchè chi ha grandi e ristretti interessi è nella posizione di poter comprare e non di essere comprato. Più il vincolo è forte, al contrario, più i deboli sono tutelati. Ciò può essere fatto anche salvando il principio costituzionale dell'assenza del vincolo di mandato, ma almeno deve esserci la possibilità di scegliere i candidati entro collegi e circoscrizioni chiare. ( storicamente la forza di questo vincolo, sia secondo il modello del consiliarismo di Lenin e del soviet sia secondo il modello di Marx proposto ne La guerra civile in Francia, si sostanzia nella revocabilità del mandato e in ogni caso nella scelta diretta e nominale del rappresentante ).
Nella costituzione renziana invece:
a) il popolo viene ancor più spaccato e diviso di quanto già non fosse, già nel percorso di approvazione della nuova costituzione. Figuriamoci quindi quanto accadrebbe in seguito.
b) il numero dei rappresentanti diminuisce capitalizzando un sentimento antipolitico nemmeno populista ma proprio squallidamente demagogico, alimentato spesso e volentieri dallo schifo che fanno propri gli stessi politicanti che ora vestono i panni degli imbonitori per convincerci a comprare la loro nuova costituzione.
c) il vincolo tra rappresentanti e rappresentanti si indebolisce, sia alla camera dove si pensa di riproporre una legge elettorale a listino bloccato sia al senato dove si procederebbe addirittura ad una elezione di secondo livello ( per altro secondo la procedura tipica delle multilevel governance. Altro aspetto che evidenzia come si stia procedendo a normalizzare la nostra costituzione alla costituzione dei padroni, cioè i trattati e le forme istituzionali della UE ).
Dato che i principi che permettono di definire cosa sia di sinistra vengono sistematicamente disattesi procedendo in senso contrario non vi è dubbio che questa revisione costituzionale è mossa da uno spirito oligarchico, antipopolare, elitistico, antiparlamentare/anticonsiliare e squisitamente di destra.






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